venerdì 27 febbraio 2015

Indimenticabile

Sapevo che sarebbe stata una settimana destinata a diventare indimenticabile, quello che non sapevo è che sarebbe successo tutto nel giro di due giorni.

Sapevo che sarebbe arrivato finalmente Physical Graffiti (il remaster, zio cane... quello che mi ha ingenuamente/perfidamente chiesto: "Ma scusa, non ce l'avevi già? Assurdo... pensavo che avessi tutti i CD [sic] dei Led Zeppelin, evidentemente non sei una vera fan..."... be', il tipo è finito in Purgatorio senza passare dal via) e sapevo che il Toro avrebbe giocato a Bilbao.

Sapevo che stringere Physical Graffiti fra le braccia - ogni vinile, per nuovo o vecchio che sia, è un bimbo da amare - mi avrebbe fatto camminare per gli spazi siderei e sapevo - qui sbagliando - che sarei stata un po' distratta dal pensiero del Toro in terra Basca.

La copertina nuda e il companion disc
Mercoledì, poco dopo le 11, è arrivato e ci siamo studiati a lungo.

Gli ho fatto le foto di rito.

Sentivo risuonare nell'anima, come note note ed anche ignote (ahaha, che simpatica), le chicche del companion disc - già ricevuto in mp3, già diventato parte di me, ancora una volta, questa volta per sempre.

"Non ho più adrenalina per la partita di domani," dicevo a me stessa, sperando di star raccontando una balla.

"Non ho più adrenalina per la partita di oggi," dicevo ieri perché - scherzi della mia natura selvatica e imprevedibile - intorno alle 18 ero ancora tranquilla come una pasqua, ma verso le 19... sentivo crescere qualcosa di familiare dentro.

Iniziavo a far fretta a tutti in casa: figli, marito, gatta.

Poi arrivava l'ora X e Davide ed io ci mettevamo in postazione: da lì non ci saremmo scollati se non in occasione del rigore, dopo i goal e alla fine della partita.

In mezzo: il delirio.

Guardando la partita chattavo con Janice (di Janice vi parlerò in un pezzo apposito in futuro: è una delle persone più granata che mi sia stato dato di incontrare, nonché una bellissima persona sic et simpliciter) e soffrivamo e godevamo insieme, chattavo con un Amico (non importa chi sia: sono quotidianamente grata per il fatto che esista) e farneticavamo insieme a colpi di 'Diomadonna!', 'non è possibile', 'piango', 'suca', 'non respiro per non cambiare posizione', 'cazzocazzocazzo' e altre amenità.

Amiamo anticipare i tempi e i luoghi
Prima della partita, per orgoglio mio personale, esibivo in pubblico una foto della Bandiera, dei miei virgulti e di me medesima, scattata a Bilbao nell'estate del 2013 e Fra' mi scriveva: "Bisogna sempre essere avanti. Se fossi passata da Varsavia, sarei tranquillissimo stasera. Forza Toro, Silvia".

È stato dopo aver letto quelle parole, caro Fra', che mi è scattata la carogna bella, quella roba granata che fa dare pugni nell'aria e l'aria si dilegua ancora prima di essere colpita.

Il delirio, dicevo.

Sentivo tutti i mali del mondo percorrermi il corpo a causa dell'autoimposta immobilità, perfino una leggera pressione a livello del plesso solare che mi faceva temere di non arrivare viva alla fine della partita.

E invece ci arrivavo viva.

Addirittura più viva di due ore prima.

Non so come si chiami questa specie di miracolo, il miracolo di sentirsi ancora più vivi, ma so che è qualcosa di ricorrente in questa mia/nostra storia con il Toro.

La mia/nostra storia con il Toro, il Toro che fa la storia, la storia che - come amo spesso dire - si ripiega su se stessa e via: pronti per andare incontro al futuro.

Oggi, oggi che è il giorno dopo, oggi è il giorno in cui arrivano i complimenti da strisciati di varia estrazione, arrivano complimenti sinceri, oggi non c'è ancora traccia di sangue nella mia adrenalina.

Mi risuonano in testa le parole che mi ha detto mio figlio uscendo da scuola: "Sai, mamma, oggi sono andato a scuola con la sciarpa di Toro-Bilbao. Giulia invece è andata con quella tutta granata."

Purtroppo la mattina esco di casa prima che i miei figli si sveglino, per fortuna stanno diventando abbastanza grandi - e mi riferisco alla grandezza dell'anima, l'età non c'entra nulla - da fare scelte e la loro scelta comune di oggi è stata quella di portare altro granata in giro oltre a se stessi.

Oltre a se stessi.

Belli, i miei figli, belli: mi insegnano ogni giorno qualcosa in più sull'Amore e anche sul Toro.

Bello, il Toro, bello: mi insegna ogni giorno qualcosa in più sotto i più svariati punti di vista.

Physical Torino.

Che settimana devastantemente indimenticabile.


venerdì 20 febbraio 2015

L'uomo seduto e tanto amore

Lo riconosci dai movimenti impacciati e lo sguardo di chi è pronto a far polemica, ma non sa fino a che punto può spingersi.

Sulle scale legge i numeri delle file, trova la sua, torna a leggere e questa volta tocca ai numeri sui seggiolini, poi gonfia il petto e si siede.

Si guarda intorno piuttosto infastidito da tutta la gentaglia che sta in piedi e si agita.

Prova diverse posizioni di seduta e poi trova la migliore: piedi per aria e braccia conserte.

La gentaglia lo guarda e alza le spalle: alcuni sono occasionali stadiescamente parlando, altri sono occasionali ipercontrollati che se ne fottono bellamente dell'occasionalità stadiesca altrui.

Durante la partita spesso si volta per capire come mai la mia sciarpa gli sventoli sul muso, gli finisca la cenere delle mie sigarette sul giaccone, le mie ginocchia con inesorabile cadenza affondino poco sotto le sue scapole.

All'inizio dell'intervallo si volta e mi scruta con odio.
Gli restituisco lo sguardo e da quel momento ci si ignora: forse è un accontentista, forse pensa di incutere timore, forse... vabbe', sicuramente è del Toro - nell'anima - quanto me, ma la tentazione di dirgli: "Dove pisello eri quella volta in cui e quell'altra in cui eccetera eccetera?" è forte.

Più forte è, però, il senso di meraviglia, di nostalgia, di stupore, di condivisione, di siamo Noi quelli del Toro, e allora... allora è pace.

Pace.

Mi volto verso dappertutto e dappertutto siamo Noi quelli del Toro, guardando meglio alla mia sinistra c'è mio figlio, mio figlio Nostro Signore della Razionalità, mio figlio e il suo sguardo stupito, il suo sguardo commosso, il suo sguardo che dice... no, non è il suo sguardo: è proprio la sua voce. La sua voce che dice: "Mamma, non ci credo..."

"Mamma, non ci credo..." me lo dice da quest'estate, da quella prima partita in cui c'era il grande tondo giallo a centrocampo e la musica epica. Gli vengono gli occhi più grandi (E.T. in pratica) e le fossette sulle guance.

Ci sono sorrisi che sono diversi, che sono più grandi, che partono da tempi in cui chi li produce non c'era ancora... Davide, ieri io ero di nuovo quella che era andata a vedere Toro-Real Madrid ed era uscita dallo stadio urlando per la gioia e per la Luna Piena e anche se ieri la Luna era invisibile (Luna Nuova) la sentivo andare su e giù per le vene come un veleno benefico.

Ero di nuovo quella ragazza.

Era tutto possibile.

TUTTO.

Tu ieri sera eri lì ad emozionarti di Granata con e come me perché, in tutti questi anni altalenanti e spesso dolorosi, io non ho mai smesso di credere ed ho lasciato sempre spazio alla speranza e al futuro e tu, mia meraviglia dotata di grandi ali tutte tue, ti sei lasciato scegliere da questo Amore Grande.

Siamo molto diversi (evviva!) ma abbiamo in comune la voglia di vedere oltre, di vedere ancora, di essere lì, di non amare le comodità, di stare alzati, di non appoggiare i piedi per aria, di usare i piedi per saltare perché non siamo biancomerdi.

Uomo Seduto, io ti stimo in quanto Fratello, ma dai retta ad una donna anziana: quando si va a casa di qualcuno, si osservano le usanze locali. Lo ha capito mio figlio, che ha ancora tanta vita davanti a sé, fai il piccolo sforzo di farlo anche tu. Magari ti può sembrare difficile... e invece è semplice (semplice, non facile: ti è chiara la differenza?). Sei riuscito a stare in piedi nel secondo tempo, fallo anche nel primo tempo la prossima volta, va bene? Bravo.

Ieri sera.

Una di quelle sere di cui parlare quando avremo di nuovo freddo.

Adesso c'è un bel tepore e me lo voglio godere.

Magari giovedì prossimo il tepore si sarà trasformato in gelo siberiano, ma - onestamente - non me ne può fregare di meno.

Non adesso.

No, non adesso.

Adesso sto in maniche corte, guardo quello che ho dentro e ho tutto i motivi per dedicare ogni minima stilla della mia energia a CREDERCI.

Quel che sarà lo si affronterà nel momento in cui sarà necessario farlo, nel bene e nel male (mia regola di vita numero 11).

Il Toro.

Punto.

sabato 14 febbraio 2015

1940

Gli si avvicina con il passo deciso che riesco ad immaginare senza fatica perché la conosco da quasi mezzo secolo: è il passo di chi ne ha viste troppe nella vita eppure resiste come gli alberi in perenne battaglia con i venti dell’oceano… e quanta fanfara sto facendo: si tratta 'solo' della Stefi in un normale giorno di lavoro in ospedale.

Lui è coricato e ha lo sguardo scocciato di chi vorrebbe essere altrove. Indossa un pigiama granata, ma questo è un dettaglio secondario.

Lei gli fa le domande di rito e lui risponde raccontandole di sintomi e di vita: “Io da giovane ho fatto molto sport: giocavo a rugby. Poi sono diventato allenatore di una squadra di rugby. Il rugby è lo sport più bello del mondo.”

“Non le interessa nessun altro sport?”

“No, anche se… quando avevo nove anni…”

Lei intuisce, intuisce di quell’intuito che io so, che NOI sappiamo, e con gli occhi si getta fulminea sulla data di nascita del paziente: 1940.

Allarga le braccia e gli dice: “Fratello!”

Lui prosegue: “…. mio padre entrò in casa con le lacrime agli occhi… ‘Sono morti tutti, sono morti tutti…’ diceva…. e non riusciva a smettere di piangere… no, non mi interessa il calcio, non mi è mai interessato… ma quella squadra lì mi entrò nel cuore e lì è rimasta…”

Lei è scossa ed è felice ed è orgogliosa ed è quel groviglio che io so, che NOI sappiamo, e… e non c’è niente altro da dire.

Come parlare di Toro senza nominarlo, emozionarsi per l’ennesima volta, e comprendere – ancora ed ancora ed ancora – che esiste qualcosa che non potrà mai scomparire.

Viva la retorica, viva chi non dimentica, viva chi ha ancora voglia di accogliere le emozioni, viva chi è stato sfiorato dal Toro e ne è stato rapito, viva chi è stato rapito dal Toro e ne vorrebbe fuggire, viva chi pensa di essere più del Toro degli altri... ah, no: questi ultimi se ne vadano pure a fare in culo (è San Valentino: la festa del'Ammmore)... dov'ero rimasta? Non importa... viva la Stefi che mi ha raccontato questo suo pezzetto di vita mentre ero affossata su un sedile di un vagone della metropolitana e mi ha trasformata in una creatura dalla schiena improvvisamente dritta e con la faccia percorsa da lacrime.

Lei è la mia Amica da sempre: io sono fortunata.

Questa è tutta per te, Stefi: gli altri non lo sanno, ma a noi racconta di notti fra le colline, notti in cui forse siamo riuscite ad andare oltre certe disperazioni.