sabato 26 aprile 2014

Uno, due, tre, prova... funziona.

Qui eravamo a Jarlshof, Shetland,
e ci tenevamo per mano: lo facciamo spesso.
Ci ero andata allo stadio, poi.
Ci ero andata ed ero stata sull'orlo del baratro.
Ci ero andata ed avevo rischiato di non esserci negli ultimi minuti.
Andare allo stadio con un braccio fresco di gesso è un'idiozia totale e, fiera della mia idiozia, sono qui per raccontarlo.
Gesso fresco, dolore al polso brillantemente vivo, spossatezza, febbre post traumatica, il gol del Genoa.
Ero al tracollo e pronunciavo la bestemmia: "Davide... andiamo a casa: non ce la faccio più..."
Non era il gol del Genoa a farmi tracollare, no... era la consapevolezza di essere irrimediabilmente idiota per non aver calcolato che il Toro non mi avrebbe fatto passare - anche solo momentaneamente - quel dolore continuo, assordante, martellante, e il disagio di muovermi più goffamente del solito.
Ero STANCA.
Accoglievo con rassegnazione genitoriale la britannica risposta di mio figlio: "Preferirei rimanere fino alla fine."
"OK, Davide... ma ho un male porco."
Non ascoltava neppure la mia risposta, lo sguardo già rivolto verso il campo.
"Ma guarda che tipo...", pensavo con un misto di cazzocazzocazzochemale e di granatico orgoglio.
E poi succedeva quella cosa.
Quel goal di Immobile.
Il rombo della folla.
Con il braccio sinistro mi autoabbracciavo e scoppiavo in lacrime, poi abbracciavo mio figlio dicendo AHIA perché schiacciavo il braccio ingessato, e poi tornavo di nuovo a piangere, rimanendo ferma come una statua.
Non facevo in tempo ad asciugarmi le lacrime e succedeva quell'altra cosa.
Quel goal di Cerci.
Un altro rombo della folla.
Subentravano i singhiozzi.
Singhiozzavo per il male e per il godimento.
Mi appoggiavo al vetro che divide la Curva dai Distinti e singhiozzavo.
L'Amico Maurizio si voltava e correva ad abbracciarmi, a sostenermi, a farmi partecipare.
Ero vittima di una specie di blackout e lui doveva essersene accorto: gliene sarò eternamente grata.
E poi l'arbitro fischiava la fine della partita ed esplodeva il terzo e ultimo rombo della folla, quando la folla non aveva più voce per produrre alcunché ma - lo giuro - non scorderò l'impatto fisico di quel rombo finché avrò respiro - e probabilmente anche oltre - perché da quel rombo ero circondata e di quel rombo facevo parte.

Mentre uscivamo dallo stadio continuavo a ringraziare Davide e iniziavo a ringraziare me stessa per aver dato alla luce un figlio così, molto più del Toro di me.
Il limite di essere meno del Toro di qualcun altro non mi faceva sentire in colpa, non mi faceva sentire peggiore, no... mi faceva sorridere fino ad avere i crampi alle guance, mi dava l'idea che essere del Toro era/è essere del Toro, punto e basta, con migliaia di sfumature, milioni di debolezze, miliardi di forze inaspettate.
Appena fuori, mi veniva incontro l'Amico Diego e ci abbracciavamo ("Fai piano! Mi fa male il braccio!") e di nuovo, che palle, scoppiavo a piangere. Diego chiamava a raccolta l'Amico Luca, a pochi metri di distanza, e insieme riuscivano a farmi ridere, finalmente.

Mi sono tremate le gambe fino a notte fonda, anche a causa della febbre.
E per l'ennesima volta si è rinnovato il patto d'amore incondizionato con mio figlio e con il Toro.
Sono una buffa creatura.
Buffa e idiota, ma ho imparato ad amarmi così come sono.

Uno, due, tre, prova... funziona.
Be', non tanto bene, ma funziona.
Ci vorrà del tempo, ma il mio polso tornerà a funzionare come si deve.
Non fa più tanto male, le dita della mano hanno recuperato quasi del tutto la mobilità e riesco ad usare la tastiera del PC (un po' lentamente, ma c'è spazio per il miglioramento).
No, non posso ancora suonare la chitarra.
Ieri ci ho provato, ma non ci sentivamo a nostro agio, né io né lei.
Quanto meno ci siamo abbracciate: ci stiamo mancando.
Vederla lì appoggiata al muro è un continuo memento dei miei limiti, ma andrà come tutte le altre volte: li supererò e li dimenticherò.
Così come dimenticherò l'idiota (moooooooooooooolto più idiota di me, oh yeah) che si è preso la briga di scrivermi che meritavo di essermi fatta male. Ovviamente il messaggio è arrivato firmato con uno pseudonimo perché alcuni sono governati dal "curagi, fioi: scapuma"... viva le differenze, lo dico per l'ennesima volta.

E questo è quanto.
Magari un giorno mi verrà voglia di raccontare anche la partita contro la Lazio, ma ora no... ora mi preparo ad andare a prendere secchiate d'acqua durante la partita contro l'Udinese e neppure questa volta maledirò la pioggia.