domenica 29 settembre 2013

#MaImmobileAndavaEspulso


Sul diario: il ragazzo non ha completato i compiti assegnatigli, #MaImmobileAndavaEspulso

Bonzo è morto e allora i Led Zeppelin si sono sciolti #MaImmobileAndavaEspulso

Mark Chapman: "Sì, ho ucciso John Lennon #MaImmobileAndavaEspulso"

I ghiacciai si stanno ritirando #MaImmobileAndavaEspulso

Io dovrei andare a cenare #MaImmobileAndavaEspulso

Mi sta salendo una carogna mostruosa #MaImmobileAndavaEspulso

Visto che mi è passata la fame evito di cenare e suono un po' la chitarra #MaImmobileAndavaEspulso

#MaImmobileAndavaEspulso, cazzo... se l'avessero espulso ora non ci sarebbe la crisi (suggerimento della mia Amica Micaela)

Jimmy Page è Dio #MaImmobileAndavaEspulso

La Musica mi curerà #MaImmobileAndavaEspulso


From Mother to Son no. 3


Cronache del dopo



"Scusami, Davide..."
"Non è colpa tua, dai..."
Ci abbracciamo.

Vaffanculo.




sabato 28 settembre 2013

Cronache del prima

Ad un giorno dal derby n. 187

Messe le cose in chiaro con i gobbetti che sul percorso abituale incontro in settimana, l'attesa si è consumata ed ora manca poco.
Lunedì avevo già sistemato la questione:
- barista gobbo: messo a tacere
- edicolante rossonero: zittito
- vv. ee.: pervenute e allontanate
Giovedì mattina, per rigurgito causato da turno infrasettimanale, ho assistito ad un timido risveglio di belligeranze pre-derby, ma non ho ritenuto opportuno dare voce a tutti i miei pensieri.
Ad ogni provocazione ho reagito con il silenzio e lo sguardo implacabilmente incuneato negli occhi del malcapitato.
È una tecnica vincente che mi ha insegnato un Amico: fissare l'avversario negli occhi senza favellare né mutare espressione. Fissarlo a lungo. L'avversario finisce per balbettare, arrossire, andare in confusione totale.
Unica controindicazione è l'insorgere della scemarola, ma fa parte della nostra essenza di particolari ninja non lasciar trasparire emozioni ove il caso lo richieda.
Vabbe'.
Con la Stefi si discute da due giorni di un fatto strano ch'ella ed io percepiamo pur essendo in due contesti geografici differenti: io sul campo (a Torino), lei altrove (a 150 km dalla città che è stata e resterà Granata): la mancanza dell'usuale elettricità che permea l'aria nei giorni precedenti alla partita contro quelli là.
Mancanza di elettricità nell'aria e presenza di serenità e di voglia (uh, quanta voglia).
Magari capita solo a noi due, magari pensiamo di essere serene e invece domani saremo prede di crisi isteriche non appena messo piede in Piazzale Grande Torino.
Chi lo sa.
Stiamo facendo il conto alla rovescia come sempre, siamo belle cariche come sempre, ripercorriamo la logistica della giornata stadiesca con meticolosità come sempre, siamo serene come non mai.
Boh.
I demoni che abitualmente albergano in me sembrano sedati, offro sorrisi e gentilezze a tutto l'universo mondo, sono davvero un'altra persona.
Che io stia vagando per casa dalle quattro di questa mattina è un evento del tutto casuale, ovviamente... sì, del tutto casuale... assolutamente...




giovedì 26 settembre 2013

From Mother to Son no. 2



Direzione Toro
Poco più di un mese fa

Stavamo passeggiando su una spiaggia di Vila Praia de Âncora mentre il sole colorava di fuoco la sabbia fredda sotto i nostri piedi.
I gabbiani erano intenti a scovar molluschi, un cane nero correva con la lingua a penzoloni, si scorgeva una nebbiolina salata a lunga distanza ma in avvicinamento.
Mi voltavo e gli chiedevo: "In quale direzione guardi per vedere il Toro?"
Ci pensava per qualche momento, corrugando la fronte, e poi diceva: "Ci devo pensare."
Continuavamo a passeggiare tranquilli, la sabbia si faceva più dorata, ci prendevamo per mano e non spezzavamo più il silenzio, se non con un lieve ronzio delle rotelle craniali: i due telepati di famiglia son usi fare così.


Ieri sera: Toro-Verona 2-2

Stavamo correndo verso la fermata del bus mentre le serrande venivano chiuse e nuvole minacciose coloravano il cielo di strane tonalità fra il blu e il grigio.
I piccioni erano intenti a cercar vittime, noi due annaspavamo con la lingua a penzoloni, scorgevamo il bus fermo al capolinea e pregavamo affinché non partisse senza di noi.
Ripreso il possesso delle facoltà respiratorie, gli chiedevo: "Allora? Non hai più risposto a quella domanda che ti ho fatto..."
E mi rispondeva: "... quella mattina in Portogallo? Uhm, devi essere stanca, mamma: io ti ho già risposto."
"Fermo restando che sono stancherrima... quando lo avresti fatto, di grazia?"
"Adesso. E mezz'ora fa. E tra tra ore."
 Intuisco, ma voglio una conferma. "Dunque... in quale direzione guardi per vedere il Toro, ciccio?"
"In tutte e in nessuna: nessun limite, mai."
Quasi mi scoppia il cuore per la gioia, ma contengo la possibile esplosione per non dare a chi mi vuol male la sudisfa di vedermi schiattare così e a chi mi vuol bene un dispiacere grande.
Arriviamo trafelati allo stadio, facciamo comunque due chiacchiere, partecipiamo alla fiera del comesivalentiaitornelliziocane, saliamo le scale, ci emozioniamo di verde e poi di Granata, salutiamo e abbracciamo gli Amici e vai col valzer.


Ieri sera dopo la partita

Di ritorno verso casa siam meditabondi.
Felici perché sì e incazzati anche.
Iniziamo il conto alla rovescia e, poco prima di entrare in casa, un canto spontaneo e a bassa voce sorge fra le nostre labbra e quel canto fa così: "E giuve merda, giuve giuve merda..."



Il brano di oggi è "Black Dog", traccia di apertura di Led Zeppelin IV, 1971: felice ascolto.



martedì 24 settembre 2013

Al di fuori del Toro n. 1


Bonzo

A John Henry Bonham
Nato a Redditch il 31 maggio 1948
Morto a Clewer il 25 settembre 1980

Come la mettiamo, Bonzo?
Domani l'inizio del tuo viaggio nell'Altrove diventa più grande del numero di anni in cui sei stato su questo stramaledetto pianeta destinato ad una fine ingloriosa (se continuiamo a trattarlo così).
Hai contribuito a farmi diventare grande in termini di anima e anche a farmi diventare adulta perché quando sei giovane - e quando te ne sei andato ero DAVVERO giovane - i Miti non muoiono mai e, insieme con la tua morte, hai portato via alcune illusioni.
Tu non ti sei più svegliato, io mi sono svegliata definitivamente.
Be', definitivamente... ho sempre la speranza che in realtà sia tutto uno scherzo, che tu sia nascosto nello scantinato della Tower House a provare nuovi suoni, mentre Pagey ti nasconde la vodka, Percy ti fa qualche scherzo e Jonesy rimane a guardare pensando: "Che incubo... credevo che non si svegliasse più e invece...".
I Miti possono anche morire, la Speranza NO.
Celebro un giorno triste e la mia immensa gratitudine per te.
Get the led out forever, Bonzo.


lunedì 23 settembre 2013

From Mother to Son no. 1

Bologna - Toro 1-2 (sì)



"Ciccio, perché guardi la partita stando seduto al tavolo? Vieni a sederti qui vicino a me, dai..."
"OK" Sorride.
Sorride e non fa in tempo a sedersi: il Toro segna e siamo abbracciati scompostamente.
Dopo vari saltelli e grida che richiamano l'attenzione del vicinato, finalmente ci sediamo vicini.
Non parliamo molto, come da nostra abitudine, come da nostra telepatia.
La nostra telepatia, già.
Ho un pensiero nella zucca, ma non voglio dargli voce.
No, non si tratta di scaramanzia, è solo che - davvero! - non capisco se sia un mio o un suo pensiero.
Stranamente non è uno di quei pensieri tipo gattinochesiappendeaicoglioni, no; stranamente è un pensiero tipo chegattinomorbidofapurelefusa.
Tocca a me, in ogni caso e soprattutto in qualità di femminuccia (non siamo capaci di stare zitte, noi), esprimermi.
"Ciccio, sai che non ho la solita paura che vada a finire a schifìo?"
"Neppure io." Ridacchia e poi aggiunge: "Mamma, lo sai che il Toro non vince al Dall'Ara dal 1980?"
"Sì, lo so. Io odio il 1980."
"Perché?" Mi chiede e poi dice: "Oh... scusa... ogni tanto dimentico che per te è l'Anno dei Morti..."
"Già."
Mi fa tenerezza che usi i nomi strani che talvolta appioppo alle cose, agli eventi, alle azioni, agli anni.
Guardo la partita e col pensiero vado indietro nel tempo, lontano lontano lontano, fino ad arrivare all'Anno dei Morti.
Il Toro vinceva a Bologna, nel 1980, e tutto doveva ancora accadere: Ian Curtis, John Bonham, John Lennon. E pure Peter Sellers! Che strage.
Il Toro vinceva a Bologna, nel 1980, e il 1980 non era ancora l'Anno dei Morti.
L'Anno dei Morti.
Eccheppalle i pensieri tristi: meglio concentrarmi sulla partita, va'...

Finisce la partita.
Il Toro vince.
Madre e figlio improvvisano una danza scoordinata.
C'è pace nei cuori: viva viva, trallalà.

C'è pace nei cuori fino a che egli, il di me figlio, dice la cosa che non va detta: "Mamma... pensa come sarebbe bello se vincessimo il derby..."
I miei capelli sembrano preda dell'elettrostaticità, ma dissimulo con nonchalance il dolore che agguanta il quarto e anche il terzo chakra (cuore e stomaco, insomma) e gli dico: "Eh... chi lo sa, tesoro...", mentre penso: "Ma non potevi startene zitto, moccioso?"
Vabbe'.

Poi cala la sera, si avvicina l'Equinozio, io guardo il cielo dalla finestra, con ieratico fare contemplativo.
Mi si avvicina e mi prende a braccetto.
"Sai, mamma, forse ho sbagliato a parlare del derby oggi... hai fatto una faccia!" Mi dice.
"Ma no, ciccio... stai tranquillo... è solo che prima di pensare al derby sarebbe più opportuno pensare al Verona, no?"
"Effettivamente..."
"Sei sicuro di volere venire a vedere la partita contro il Verona anche se è infrasettimanale?"
"Certo!"
"Sei un pazzo... proprio come la tua mamma... non avrei potuto immaginarti migliore di ciò che stai diventando, sai?"
Mi abbraccia forte e, per un breve attimo, mi sento sollevata dal peso di avergli regalato la fede Granata oltre alle lentiggini e ai capelli scompigliati.
 Non avrei potuto immaginarlo migliore di ciò che sta diventando e non avrei potuto immaginare che sarebbe diventato uno dei miei Compagni di Stadio... da Madre a Figlio: FORZA TORO.
E ora avanti verso mercoledì sera.



Oggi ho iniziato una Zeppathon per cui non dedico nulla a nessuno, se non la massima attenzione a ciò che sto ascoltando nel momento in cui lo sto ascoltando. 



venerdì 20 settembre 2013

Starnuti, sospiri, sorrisi e bestemmie

Prima e dopo Toro-Milan 2-0 (ah, no: 2-2...)


Sabato 14 settembre

Un sabato mattina come gli altri: pigrizia, indolenza e... starnuti.
Eccolo lì: il raffreddore settembrino, quello che ti taglia le gambe, che ti piomba fra capo e collo e i fazzoletti sono dall'altra parte della casa, che ti obnubila i pensieri, che "forse aveva ragione mia mamma, forse devo mettere la canottiera".
Mi coglie - inevitabile - il pensiero: questa sera giochiamo contro il Milan.
Tentando di scrollarmi il sonno dagli occhi e dal cerebro, faccio un rapido appello e poi sospiro sorridendo: sì, ci saremo tutti.
Io (io io io, ogni tanto amo mettermi per prima), Davide-figlio, Giulia, Davide-amico, la Stefi, la Nonna Olga, Sabrina, Samuele.
Davide e Samuele celebrano un loro rito personale prima della partita: camminano lenti e percorrono centinaia di metri e parlano parlano parlano. Ogni tanto Sabrina ed io ci chiediamo: "Dove sono i nostri figli?" e poi li vediamo, li guardiamo, ci sorridiamo.
"Ma che cos'avranno da dirsi?" Mi chiede sempre Sabrina.
"Quello che ci saremmo dette noi due se ci fossimo conosciute da ragazze, no?" Le rispondo.
Intanto procedono i minuti, iniziano gli "Entriamo?", ci avviamo verso i tornelli per poi fermarci ogni tot metri perché c'è qualcuno da salutare e abbracciare, abbiamo tutti voglia di ritrovarci dopo sperando di essere ancora così... così pronti.
Raffiche di starnuti.
Altro che pensare a Toro-Milan: qui bisogna correre ai ripari e inizia la caccia alla canottiera, al Vivin C e al miele.
E poi si va, sì, e ci teniamo per mano: Giulia in mezzo, Davide a destra, io a sinistra. Tre magliette Granata in fila per tre (e per forza: quelli eravamo) contro il resto del mondo, resto del mondo rappresentato da un simpaticone che dall'auto urla: "Forza Milan!" al nostro indirizzo. Vabbe', contento tu...
Saliamo sul bus, il bus che parte quasi subito, e mi siedo, guardo i miei figli, sorrido con espressione sognante e pure imbecille: che meraviglia...
Il mio bel sognare viene interrotto dal dirimpettaio di sedile che chiede: "Sta giocando il Toro?"
Inizialmente penso di non aver ben compreso la domanda e poi rispondo: "No, stiamo andando allo stadio."
"E contro chi gioca il Toro? No, perché io sono tifoso del Toro, sa? Speriamo che vinca il Toro, eh?" Dice affannato.
"Santa Dea, perché perché perché?" Penso, ma dico: "Milan."
"Ah. E quello sulla sua maglia, se non sbaglio, eh? Se non sbaglio è quello dell'auto, è Meroni. È Meroni?"
"No, è Capitan Valentino Mazzola."
"Ah. Mazzola. Come Sandro. Sandro Mazzola. Valentino Mazzola era il padre di Sandro Mazzola."
"Veramente Sandro era il figlio di Valentino, ma sono punti di vista."
"Io ho visto giocare Sandro Mazzola, me lo ricordo bene. E ho visto anche Rivera!"
"Echissenefrega, zio cane!" Penso, ma dico: "Pure io... uh, mi perdoni..." Prendo in mano il cellulare e fingo - rob de mat daver davero! - di aver ricevuto una telefonata.
La 'telefonata' dura cinque minuti e il tipo si rifugia in uno splendido mutismo.
Dopo di che trovo il tempo per litigare con una truzza che pretende di scendere dal bus senza aver prenotato la fermata e per raccogliere le confidenze di una gentile signora di bell'aspetto.
Con 'sta faccia da prete che mi ritrovo alla gente pare venir spontaneo confidarmi le proprie pene: che fortuna.
"Per me è una sofferenza... io ero del Toro." Mi dice la gentile signora.
"Ah. E poi?" Rispondo, conoscendo già la risposta.
"E poi l'aereo è andato giù e bla bla bla e ho detto basta al Toro e bla bla bla e allora ho iniziato a tifare Milan e bla bla bla e a mio marito non interessa il calcio e bla bla bla" Blablablatera 'sta roba trita e ritrita sull'aereo che è andato già e sulla rinuncia al Toro e mi verrebbe voglia di darle una sberla in faccia al suono di un tonante: "Ma va a cagare, deficiente!", ma dobbiamo scendere dal bus: alleluja.
Se mi avessero dato un centesimo per ogni volta in cui ho sentito nominare a sproposito l'aereo che è andato giù, avrei già comprato il Toro.
Vabbe'.
Fine degli incontri strani prepartita, inizio degli incontri prepartita, gli incontri e basta.
Dopo un po' faccio la conta e ci sono proprio tutti.
Mi torna alla mente quella volta in cui ero a tavola con tutta la mia famiglia e Giulia, avrà avuto poco meno di un anno, era seduta a capotavola nel seggiolone. Ci aveva guardati tutti con attenzione, uno per volta: suo padre, mia mamma, la cuginetta, la zia, mio papà, il cuginetto, mio fratello, suo fratello, me. E poi aveva fatto un sospiro grande ed un sorriso.
Io non sono a capotavola, non sono su un seggiolone, ma anche io li guardo tutti: Sabrina, Samu, Gaia, Davide-figlio, Davide-amico, la Stefi, nonna Olga, gli altri. Li guardo tutti, uno per uno, e poi faccio un sospiro grande ed un sorriso.
Prima della partita è tutto bello.
Durante la partita è quasi tutto bello, cioè: è tutto bello fino a un certo punto, poi la merda trionfa.
Alla fine della partita non sospiro né sorrido, ma smoccolo.
Un sabato sera come gli altri: sorrisi e bestemmie.
Il raffreddore? Passato.
E allora perché tiro su con il naso? Boh, sarà un po' di allergia alle sere di fine estate.
E perché stringo i pugni fino a ficcare le unghie nei palmi delle mani? Chissà... ho pensieri che si amMASSAno e il disgusto che sale.
Un po' di zucchero per noi MAI, eh?
Eccheccazzo.




Oggi scelgo "She Loves You" (The Beatles, 1963) perché lei ti ama e perché lei sono io e tu sei il Toro e a volte lei vorrebbe che l'amore fosse più spensierato...




... ma d'altra parte se l'amore fosse diverso lei andrebbe a cercarlo fino a trovarlo così, proprio così com'è.

Dedico "She Loves You" alla spensieratezza che, comunque, ci ha avvolti e scaldati e confortati fino a quando siamo stati sul due a zero. Poi è stata solo una massa (sic) di merda, l'ennesima.


giovedì 19 settembre 2013

Voltare pagina

Perché tutto cambi, tutto deve rimanere com'è

Ho già tolto i vinili dagli scaffali, li ho messi negli scatoloni imbottiti: non vorrei mai che si facessero male, ho staccato le foto dalle pareti, ho tolto le tende granata dai finestroni (cavoli, non mi ero mai accorta che fossero così grandi...) e dal lucernario, due amici mi hanno aiutata a rimuovere il Pentacolo dal centro del pavimento.
Devo solo impacchettare il bollitore e le mugs ed è fatta: volterò pagina.
Volterò pagina per l'ennesima volta.
Con un dolore a livello di muscolo cardiaco che fatico a contenere e, al contempo, un senso di sollievo che non ricordavo mi appartenesse, ma nonostante tutto prevale il senso di 'lutto' che accompagna tutti gli addii.
Mi guardo intorno: le pareti e gli scaffali vuoti e le finestre da cui entra la luce molesta parlano di me al passato, non riesco a trattenere un sospiro, che è quasi un gemito.
"Dea... mi sembra di essere ad una partita del Toraaaaaaaaaaaaaaaaaaah!" Grido sobbalzando: qualcuno o qualcosa - un'entità particolarmente maligna, forse? - mi si è posata su una clavicola.
Mi volto: è Sagliets e mi ha appena dato una pacca amichevole su una spalla.
"Ciccio... che cosa fai qui? E perché diavolo sei entrato così di soppiatto? Mi hai fatto prendere un colpo..."
"Ma smettila, befana... con tutte le creature dell'Aldilà e di altri Universi che ho visto passare da queste parti, non posso averti spaventata..."
"Hai ragione, ma..."
"Ma?"
"Ma mi sento vulnerabile, SONO vulnerabile: tutta questa luce mi abbaglia e non riesco a concentrarmi come dovrei..." Ho gli occhi pieni di lacrime, ma crepa se ne lascerò fuggire una: sono una dura, io.
"Tsk... sei sicura di aver fatto la scelta giusta, Silvietta?"
"Sono sicura di aver fatto una scelta, Mauretti... quante volte ti ho detto di lasciar da parte gli aggettivi?"
"Mi mancherai."
"Lo so."
"Vuoi smetterla?"
"Eh?"
"No, niente ciuppa... ti sto chiedendo solo perché non la smetti."
"Di fare che cosa, sant'uomo?"
"Di torturarti. Di reggere il mondo sulle tue spalle, Jude. Di essere così rigida."
"Non so essere diversa da come sono..."
"Balle... ormai ti conosco da troppo tempo, Silvietta... continui a rimanere un mistero per certi versi, ma per altri... be', grazie per avermi fatto conoscere parte di te..."
"Ou, guarda che sono ancora viva... sembra che tu stia recitando l'orazione funebre durante l'estremo saluto a me medesima... a proposito: niente fiori, né opere di bene, mi raccomando..."
"Ma quanto sei scema..."
"Scema io? Be'... quanto basta per sopravvivere..."
"Non fare la tragica, ora, dai. Ho sempre ammirato la tua vitalità e il tuo spirito di reazione."
"Davvero? Grazie..."
"Molliamola lì, però... hai voglia di farmi un ultimo tea?"
"Volentieri."
Metto su il bollitore, dopo pochi minuti, durante i quali rimaniamo in silenzio, fischia; verso l'acqua nelle mugs, intingo le bustine di Earl Grey, aspettiamo il giusto, ci sediamo per terra a gambe incrociate a sorseggiare la magica bevanda che ogni magone cura.
Dalle finestre vedo una piccola falce di Luna, è quasi impercettibile.
"Guardala, Sagliets: non è bellissima?"
"Prometti che non ci perderemo di vista?"
"Solo se prometti che ti ricorderai di me finché sarò viva, perché quando sarò morta... sarò morta e non saprò di essere morta. Quando sarò morta non saprò più nulla. Non saprò né il bene né il male. Non saprò neppure il Toro. Non saprò i Led Zeppelin. Non saprò. Non sarò. E non essere è piuttosto impegnativo. Tanto da morti quanto da vivi."
"Uh, che allegria..."
"Embe'? Sono una creatura delle tenebre, ciccio, che cosa ci posso fare?"
"Ormai nulla, megera..."
Non riusciamo neppure a scherzare.
Mi sento un po' in colpa nei suoi confronti: è stato lui che mi ha spinta a scrivere, è lui che mi ha aiutato a superare la mia naturale (e spesso non creduta) timidezza, è lui che... Sagliets è il mio Mentore. All'inizio Mauro mi chiamava Tamarindore, quando lo chiamavo Mentore: che scemo.
Mi alzo faticosamente, il mio quasi mezzo secolo rimane incagliato nelle ginocchia, ma poco per volta risorgo dal pavimento.
"Andiamo, Sagliets: mi aiuti a chiudere la porta?"
"No, non ti aiuto, però ti accompagno."
Ci dirigiamo per l'ultima volta verso la porta del mio santa sanctorum, l'apriamo insieme.
Mi volto per un ultimo sguardo al mio antro e inspiro a fondo.
Sto per chiudere la porta ma... "Silvia, non stai dimenticando qualcosa?"
"Non credo... domani verranno i ragazzi a prendere i miei scatoloni, ho radunato tutto..."
"Hai dimenticato il bollitore e le mugs..."
"Dimenticate? No, io non dimentico mai nulla, lo sai... te li regalo: bollitore, mugs, bustine di tea."
"Ma... perché?"
"Per non essere dimenticata. E anche perché, magari, è la volta buona che impari a fare un tea decente, capra."
"Anche io ti voglio bene, megera."
Ci abbracciamo forte, come quelle rare volte in cui ci è accaduto di fare dopo una vittoria del Toro (rarità dipendente dal Toro, ça va sans dire), usciamo e chiudiamo la porta.
"Che cosa farai adesso, Silvietta?"
"Boh, continuerò a fare quello che so fare: suonare la chitarra, curare i mali delle anime altrui, scrivere di Toro."
"Continuerai a scrivere di Toro?"
"Sì."
"A presto, allora."
"Sì. Grazie, Mentore."
"Grazie a te,  Tamarindore."



Ogni tanto intraprendo nuovi viaggi.
Guardo indietro e mi accomodo nella gratitudine, la mia gratitudine verso chi ha creduto in me e con me.
Amo viaggiare in compagnia, ma è tempo - ora - di viaggiare da sola.
Forse sola rimarrò per sempre, ma PER SEMPRE è anche il mio Amore per il Toro.
Io mi chiamo Silvia e sono del Toro, il resto è ancora tutto da scrivere.
Il numero di occhi che leggeranno non ha rilevanza, non può averne quando sento continuamente intorno a me il battito di tanti cuori che, come il mio, si rinnovano continuamente a dispetto delle stagioni amare da accantonare fra i ricordi.
Questo è il mio nuovo viaggio e gli dedico "Thank You" (Led Zeppelin II, brano di chiusura del primo lato).




Dedico "Thank You" a chi è stato dimenticato e accantonato.
Dedico "Thank You" a chi c'era sempre e a chi c'era a singhiozzo.
Dedico "Thank You" a chi si è tolto dalle balle.
Dedico "Thank You" al Toro, senza il quale non avrei mai avuto la necessaria spinta per guardare più a fondo negli occhi di chi vive il mio stesso Amore.






domenica 15 settembre 2013

Ringraziamenti & Co.

Sono arrivata nel mondo 'letteratura' Granata in modo del tutto casuale poco più di cinque anni fa, ma dal momento che il Caso non esiste... non aggiungo altre farneticazioni oltre a quelle che, nello scorso lustro, ho condiviso in rete.
Ho avuto la fortuna e l'onore di essere stata ospitata su pagine ben più illustri di questa per parlare del Toro, del Toro secondo me, e sono colma di gratitudine.
Quando fortuna ed onore sono diventati onere, ho scelto di rifugiarmi in una casa tutta mia: questa qui.
Siate i benvenuti.
Non so con quale cadenza pubblicherò, so che continuerò a condividere.
Per chi volesse far parte della condivisione... la mia prima pubblicazione è prevista per giovedì 19 settembre alle 13:13.
SFT,
La Silvia

mercoledì 4 settembre 2013

Deviazioni

Pensieri

Era una strada stretta, sinuosa come un serpente, in discesa, da un lato la montagna, dall’altro un dirupo, in fondo alla strada c’era un faro e quello era il nostro obiettivo.
Ne avevamo già visti alcuni e li avevamo raggiunti agevolmente, ma quello, quello più che un faro sembrava la fine del mondo, quando il mondo non era rotondo bensì piatto e, giunti ai bordi del disco, non avremmo potuto fare altro che precipitare giù.
Il mio compagno di viaggio soffriva di vertigini, ne soffriva tanto, eppure ogni faro era una conquista, ogni faro era un puntino e, tracciando la linea che univa tutti quei puntini, si andava creando un ghirigoro, un sigillo, un simbolo che avrebbe dato ulteriore forma visiva al senso del viaggio.
Era una strada stretta, sinuosa come un serpente.

Parcheggiata l’auto, avevamo fatto fatica ad aprire le portiere per il vento forte, quel vento che avremmo dovuto immaginare così forte vedendo le piante cresciute piegate non per DNA ma per fenomeni atmosferici, quel vento che non potevamo comunque immaginare così: portava via i suoni, sovrastava la nostra stessa esistenza.
Si era voltato a guardare la strada da cui eravamo arrivati e aveva detto: “Io non posso tornare indietro, non posso…” e si era accasciato con il volto fra le mani.
Poi aveva sollevato lo sguardo e si era messo a fissare la strada. “Non mi ero reso conto che fosse così stretta… se torniamo indietro precipiteremo, ci faremo male, non posso tornare indietro, non posso…”
Con un braccio gli cingevo le spalle, con l’altra mano gli accarezzavo il volto. “Allora, ascoltami… se siamo arrivati fino a qui, possiamo anche fare il percorso in senso inverso. La strada è stretta, ma è sufficientemente larga per essere percorsa e di ciò ne hai già la prova…”
Continuava a guardare la strada, ma quello che vedeva era una strada che diventava sempre più stretta, anche se non era vero.
Non era vero, ma quella era la SUA verità.

Eravamo rimasti seduti a cercare di respirare quel vento che ci faceva oscillare e poi, dal piccolo parcheggio, era partita un’auto.
“Guardala. Sta salendo, la vedi? Vedi anche che c’è abbastanza spazio, ad entrambi i lati, per non cadere giù dal dirupo?”
“Ma… ma se arriva un’auto in senso opposto?”
Il Destino aveva voluto favorirci materializzando, appunto, un’auto che procedeva in senso contrario.
“Guardale. Una sta salendo e una sta scendendo: le vedi? Vedi anche che c’è abbastanza spazio, per entrambe le auto, per non cadere giù dal dirupo o sbattere contro la montagna?”
“Ma… sì, c’è spazio…”
Era caduto il silenzio, se silenzio si può definire il ruggito del vento di un promontorio alla fine del mondo.
“Sì, c’è spazio.” Avevo detto sorridendo.
“Ma tu… tu non hai mai paura?”
“Io? No.”
Non era vero, ma quella era la MIA verità.
Quella DOVEVA essere la mia verità.

Il Destino doveva volerci molto bene poiché, poco dopo, aveva fatto sì che un camper lasciasse il parcheggio.
“Uh, guarda quel camper: è gigantesco! Vediamo come se la cava su per la salita…”
Il mio compagno di viaggio, lasciandosi stringere forte le mani, aveva seguito il procedere del camper, mentre gli snocciolavo evidenze centrimetriche sulla possibile e comoda compresenza di due mezzi sulla carreggiata.
“Forse posso farcela…”
“Certo! Andiamo: è ora di lasciarti alle spalle questa paura, forza.”
Aveva raccolto nei polmoni quanta più aria possibile prima di mettere in moto l’auto, aveva guardato quella strada stretta, sinuosa come un serpente, ed era partito.
Lentamente.
Lentamente.
Una curva dopo l’altra.
Lentamente.
Fino ad arrivare in quel punto benedetto in cui la carreggiata si faceva più larga e con essa i respiri.
Improvvisamente accostava sulla destra, proprio a ridosso della parete rocciosa.
“Che cosa fai?” Gli avevo chiesto stupita.
“Voglio fotografare quello che mi sono lasciato alle spalle.” Mi aveva risposto quasi rinato.
Ci eravamo sorrisi e per una volta ero rimasta in auto, per una volta non avevo tirato fuori la macchina fotografica, per una volta ero rimasta a guardare, solo a guardare.
Avevamo proseguito il viaggio in compagnia del ricordo di due verità non assolute, che però erano state le nostre verità e ci avevano permesso, appunto, di continuare ad accumulare chilometri e immagini e sensazioni e esperienze.

Il giorno dopo avevamo visitato un altro faro, più accessibile di quello precedente.
Dopo aver scattato decine di foto ero rimasta a fissare il vuoto, le mani appoggiate su un basso parapetto di pietre e cemento.
Il mio compagno di viaggio si era avvicinato e mi aveva toccato una spalla dicendomi: “Hey… dove sei?”
Mi capitava spesso - e mi capita tuttora - di andare ‘altrove’ e di avere bisogno che qualcuno mi richiamasse alla realtà.
“Oh… sono qui, sono qui… solo che… ti ho mai detto di essere attratta dal vuoto?”
Gli si erano rizzati i capelli in testa. “In che senso?”
“Nel senso di essere attratta dal vuoto, né più né meno.”
“Allontanati da lì, allora, vieni…” Cingendomi i fianchi mi aveva allontanata da quel parapetto così invitante per via della sua minima altezza. “Non me lo avevi mai detto…”
“Te l’ho detto adesso.” Avevo risposto sorridendo, ancora preda dell’eccitante vertigine che il vuoto da sempre esercita su di me.
“Ma tu… tu non hai mai paura?”
“Di nuovo?” Ero scoppiata a ridere. “Vedi… i momenti di estasi sono sempre più intensi degli eoni di paura e dunque… e dunque si potrebbe dire che non ho mai paura o, meglio, che preferisco fare come hai fatto tu ieri quando hai lasciato alle spalle la tua paura, mi sono spiegata?”
“Sì, ti sei spiegata, ma non avvicinarti più a nessun parapetto, OK?”
“Okay…”

Qualunque forma abbiano le verità individuali, anche quando tali verità fossero costruzioni della mente e non verità assolute, vengano rispettate e tenute in gran conto: la vera ricchezza è la differenza, non il quoziente della verità in sé, sia che si stia andando verso un faro per una strada impervia, sia che si stia per spiccare il volo da un dirupo, sia che si stia già pensando al derby.
Già.
Inizia settembre e il primo pensiero, per quest’anno, è quello.
Il secondo pensiero è: ho paura.
Il terzo pensiero è: ci fanno neri.
Il quarto pensiero è: non vedo l’ora.
Il quinto pensiero è: sei una masochista.
Il sesto pensiero è: no, sono una del Toro.
Poi i pensieri si confondono tra loro e decido di pensare al giorno dopo, quando tutto sarà compiuto.

Puff puff pant pant.

Ogni tanto mi tornano alla mente ricordi di viaggi lontani nel tempo.
Magari dimentico qualche bel panorama, ricordo sempre le emozioni.

Come? Non ho quasi parlato del Toro in questo ‘temino’? Forse sì e forse no: talvolta il pensiero  devia verso altre strade.
Il pensiero ha deviato, solo il pensiero.
Il cuore no: lui non devia mai.
Amen.



Questa settimana tocca a “Guide Me Home” (dall’album ‘Barcelona’, 1988, Freddie Mercury & Montserrat Caballé).





Freddie, domani compi 67 anni: grazie per essere venuto su questo pianeta e per aver condiviso con noi grande parte della tua immensa anima. Non so perché insistano a dirti morto… forse si sta perdendo la comprensione della parola IMMORTALE (e non vale solo per te).