mercoledì 10 luglio 2013

Cose

Il volto di chi ha riposato il giusto


Sagliets scrive - Silvietta, sei lì?
LaSilvia scrive - No.
Sagliets scrive - Smettila di fare la scema... hai due minuti?
LaSilvia scrive - Certo... problemi?
Sagliets scrive - Sono amareggiato.
LaSilvia scrive - Urca. Vieni nel mio ufficio, intanto metto su il bollitore.
Quando Sagliets dice di essere amareggiato, vuol dire che la situazione è grave e pure greve.
Entra, mi saluta con uno sguardo che fa il giro del sistema solare e poi, di ritorno, frena in prossimità della Luna, si lascia andare sul divano e urla: “Mi sono rotto le scatole.”
Faccio finta di niente, magari ha ancora qualcosa da dire.
“Adesso cambiamo registro, però, adesso basta. Basta. BASTA! Perdo ore di sonno, di vita, di tutto... per niente, ca§§o! Per niente!”
Sorrido con un angolo della bocca: so come si sente, ma è giusto che sia lui a tirare fuori tutta la rabbia.
“Non pretendo le lodi, non pretendo che si sia d’accordo con me, ma... il rispetto, ca§§o, un minimo... un minimo di rispetto...”
Verso il tea, gliene porgo una tazza, inizia a bere.
“Bene, Mauretti... tu sei soddisfatto del tuo ultimo articolo?”
“Sì, ma...”
“‘Ma’ un corno. Tu sei soddisfatto? Sì. Bene: il resto non conta.”
“Non conta? E allora che cosa conta?”
“Conta la tua stanchezza, Sagliets... dai, bevi il tuo tea: io ti racconto cose, vuoi?”
“Sì.”

Cosa numero 1
“Mamma, oggi vado a visitare il Museo dello Sport all’Olimpico.”
“Dooooooveeeeee???”
“All’Olimpi...”
“Eeeeeeeeeeeeeeeeh???”
“Ah, OK: al Comunale.”
“Bravo, ragazzo. Poi racconti?”
“Sì!”
Va in gita, torna, racconta.
“E ho visto questo, e ho visto quello, e poi bla e pure bli e pure blu...”
Parla parla parla. Ho mal di testa, un mal di testa punkabbestia.
“E poi siamo entrati sul campo e ci hanno fatto tirare dei rigori e ho sbagliato il primo e ho segnato il secondo e sai in che direzione ho segnato?”
Gli faccio cenno di proseguire: ho così male che non riesco a parlare.
“Ho segnato sotto la Maratona!”
Mi fermo a guardarlo e vedo... vedo quella cosa strana che si vede sul volto dei propri figli. Vedo le mie speranze, vedo i suoi sentimenti, vedo il suo modo di piegare la testa di lato proprio come faceva Nonno Giulio, vedo quella strana ‘ruga’ che gli si forma fra le sopracciglia proprio come a me medesima, vedo le persone che amo e che ho amato, vedo una persona totalmente diversa da me, vedo un uomo in crescita, vedo tutto il mio passato e il mio futuro e posso accomodarmi nel mio presente rendendomi conto che il mal di testa si è volatilizzato.
“Scusa... puoi ripetere, ciccio?”
“Ho segnato sotto la Maratona!”
Allungo le braccia verso il cielo e poi, abbracciandolo, grido: “GOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOLLLLL!!!” Improvviso una danza, saltello come una forsennata e poi pronunzio LA frase:

LUI È MIO FIGLIO! HA SEGNATO SOTTO LA MARATONA! MIO FIGLIO! MIOOOO! FIGLIOOOO! HA SEGNATOOOO! SOTTOOO! LA MARATONAAA!

Siamo sul marciapiedi di fronte al centro estivo, è un momento un po’ trafficato, i genitori e i nonni e gli zii e i gagni di passaggio, mi guardano straniti e io sorrido, sorrido a tutti, beata come può essere beata la madre di un finferlo in crescita che, nello stadio vuoto, ha segnato un rigore sotto la Maratona.

Cosa numero 2
Il giorno dopo.
“Mamma, oggi anche io vado a visitare il Museo dello Sport.”
“Uh, davvero? Spero che anche tu possa andare in campo, ciccia.”
“Eh... speriamo... poi ti racconto tutto.”
“Non vedo l’ora.”
Va in gita, torna, racconta.
“E ho visto questo, e ho visto quello, e poi bla e pure bli e pure blu...”
Stesso entusiasmo del fratello, stesse emozioni mie nel guardarla mentre racconta.
“Ciccia... qual è stata la parte che ti ha interessato di più?”
Mi guarda quasi scandalizzata, allarga talmente tanto gli occhi da sembrare più manga del solito e, allargando le mani, dice: “La parte con le cose del Toro, ovviamente!”
Scuote un po’ la testa come per rimproverarmi per la stupidità della domanda, allora cerco di rifarmi.
“Hai visto qualcosa che conoscevi già, ciccia?”
“Be’, alcune foto di giocatori antichi [i giocatori antichi... solo per aver detto questa cosa la amo una briciola in più] e poi ero l’unica del mio gruppo a conoscere la storia della tragedia di Superga.”
“Ma scusa... non c’è nessun altro del Toro nel tuo gruppo?”
“Sì, ma io ero l’unica a sapere di Superga.”
Scuoto un po’ la testa come per rimproverare mentalmente quei genitori Granata che non hanno ancora raccontato la Storia ai propri figli e poi scuoto le spalle: devo parlarne con il Diretùr, ma non adesso, non adesso...
“... e poi ci hanno fatto andare in campo, ma io non sono riuscita a segnare sotto la Maratona. Non ho proprio segnato da nessuna parte.” Dice con tono sconsolato.
Mi fa sorridere ‘sta donna in crescita, mi ricorda me quando ero piccola e anche me tra due giorni, soprattutto è unica nella sua unicità.

“Vado avanti, Sagliets?”
“Sì, per favore...”

Cosa numero 3
Chiamo il Diretùr.
- Hellooooo!
- Oh.
- Diretùr, Diretùr! Davide ha segnato sotto la Maratona e Giulia sapeva la storia di Superga e gli altri no!
- Oh.
- Uh.
- Che bella storia...
- Senti, io stavo pensando ad una cosa.
- Davvero? Festeggiamo!
- No, dai... Capo, piccola riflessione, ma piccola piccola piccola.
- Dimmi, LaZilvia.
- Boh.
- Ah, sì: sono d’accordo.
- No, uffff... è che stavo pensando che ai nostri figli raccontiamo le favole belle e anche le favole brutte e nelle favole brutte sono compresi un aereo che si schianta contro una collina, un giocatore che viene investito da un’auto e un altro giocatore a cui scoppia una vena. Non è un po’ troppo? Sì, lo so: è andata proprio così, ma... boh, ogni tanto mi viene la stufia da tragedia aleggiante... anche perché tutta ‘sta cupezza, in alcuni momenti, mi fa sentire più ganza degli altri... hai presente quella roba tipo ‘Mi piego ma non mi spezzo’, ‘Sono io che faccio paura alla sorte’? Quella roba lì. Temo di perdere di un po’ di umanità per favorire l’alone mistico-eroistico, che - fra le altre cose - è uno degli aloni più difficili da mandar via, manco la trielina, che diamine!
- Hai provato con il sapone di Marsiglia?
- Uhm, no: buona idea. Grazie, Capo!
- Non chiamarmi Capo.
- OK, Capo.
- Così ragioniamo.
- Ma... secondo te ho sbagliato a raccontare ai bambini di tutto il sangue che ha intriso la nostra storia? A volte mi faccio lo scrupolo...
- Secondo me non hai sbagliato tu così come non hanno sbagliato quelli che hanno preferito rimandarne il racconto... credo che l’unico errore, se di errore si può parlare, sia quello di sentirsi più fighi degli altri.
- Sei saggio, Diretùr.
- Sì.
- E anche modesto.
- Ancora! Ancora!
- Ciao.
- Nuuuuuu!
- Ciao, stai bravo e resta umano, OK?
- Anche tu.
- Va bene.
Click.

“È interessante che, pur seguendo percorsi totalmente diversi, stiamo arrivando alle stesse conclusioni, Silvietta...”
“Già... sai perché ho deciso di diventare una fattucchiera?”
“Perché ci hai i poteri, no?”
“No, Mauretti... perché era l’unico modo per essere ciò sono nel momento in cui lo sono: a volte brava, a volte cattiva, a volte così così. Senza schemi. Senza obbligo alcuno se non il rispetto dell’idea altrui.”
“Tu sei troppo generosa, magari lo diventerò anche io...”
“Anche tu lo sei... è per questo che mi dispiace se ti becchi male quando qualcuno si lamenta per la lunghezza dei tuoi pezzi...”
“È una cosa che mi fa imbestialire!”
“Lo so, ma permettimi di dirti che sbagli. Sbagli come chi si sofferma sulla quantità senza badare alla qualità. Quando ci si concentra sulla qualità tutto il resto sparisce. Tu potresti scrivere un pezzo da venti pagine così come una breve frase e raggiungere altezze inimmaginabili: è il tuo Dono.”
“Sei troppo generosa, te l’ho già detto prima.”
“E tu devi smettere di prendertela per le inezie. Rispetta l’idea altrui e vai avanti così.”
“Ci penserò.”
“Va bene. Hai voglia di leggere in anteprima parte di quello che pubblicherò prossimamente?”
“Sempre.”
“Ti voglio bene, Silvietta.”
“Io ti detesto, Mauraccio.”
Mi sorride, forse si sente un po’ sollevato, chi lo sa... a volte vorremmo andare fra le piante di mais che svettano copiose sotto le finestre dell’immenso ufficio del Diretùr per costruire un campo da calcio e vedere se, come ne “L’Uomo dei Sogni”, le voci che ci tormentano hanno ragione d’essere. Magari ci potrebbe accadere, una volta accesi i riflettori, di vedere il Toro del futuro e trovare nuova linfa e nuove motivazioni, anche se le vecchie motivazioni non sono sparite: stanno solo dormendo e un giorno si sveglieranno con il volto di chi ha riposato il giusto.


Questa settimana tocca a “My Blues Is You” (12” del 1983, Neon). È un brano che rientra nel gruppo dei brani che io chiamo ‘intoxicating’: ha lo stesso effetto di uno stupefacente senza fare danni. “Amaro è il ricordo che non muore” recita il testo (vabbe’, “Bitter is the memory that won’t die” dice in realtà): mi ricorda qualcosa.



Dedico “My Blues Is You” ai momenti di umanità e di non fighezza.
Non dedico “My Blues Is You” a chi ci teneva tanto a diventare un cugggino. Magari ora ti insegneranno modi e tempi in cui esprimere i tuoi desideri. Per quanto mi riguarda, ho chiuso con te già dallo scorso anno. Nessun rimpianto. Fare thee well.
Dedico “My Blues Is You” a me, che domani compio (troppi) anni e continuo imperterrita a cercare la felicità (e riesco anche a trovarla!). Anzi... a me dedico anche questa:





Da “In Through The Out Door”, 1979, terza traccia della prima facciata.
Senza i Led Zeppelin non è vero compleanno e poi oggi, a dispetto di tutto e di tutti, ho voglia di cantare e ballare.