mercoledì 26 giugno 2013

Cuori

Non posso vedere morire la mia squadra



Duemilatredici.

“Non posso vedere morire la mia squadra”

“Se ognuno di noi farà la propria parte, non moriremo.”



Millenovecentonovantadue.

Sulla strada in salita che porta al castello di Edimburgo lo sguardo, ad un certo punto, cade su un cuore. È un cuore inserito nella pavimentazione stradale, un cuore fatto di sampietrini di diverse tonalità cromatiche. Mi fermo a guardarlo e mi emoziona un po’ anche se non ho la minima idea di che cosa si tratti. “Chissà che cos’è”, mi chiedo e poi riprendo ad avvicinarmi al castello.
Edimburgo è città viva e vivace, ad agosto lo è ancora di più: il Tattoo Festival richiama turisti, soprattutto raduna musicisti, teatranti, individui che s’aggirano per le strade indossando maschere che provengono da un passato così lontano da perdersi nel mito.
Ho tanto da vedere, ho tanto da fotografare, ho tanto da ricordare e poi... e poi ci aspettano le Highlands, abbiamo ancora tanta strada da fare.



Duemilasei.

Davide gioca con la Play Station: FIFA 2005.
“Mammaaaaaaaaaaaaaaaaa!”
“Ellallààààààààààà! Che cosa succede? Sta scoppiando la guerra degli universi?”
“No! Guarda! Ho deciso di giocare nel campionato scozzese ed ho scelto questa squadra: guarda che bella maglia!”
Mi avvicino allo schermo: ha scelto gli Hearts.
“Perché hai scelto proprio gli Hearts?” Gli chiedo, già pregustando la risposta.
“Perché hanno la maglia Granata, mamma!”

Sono totalmente digiuna di calcio scozzese, totalmente indifferente a tutto ciò che non sia Toro, totalmente assorbita dal recupero delle energie dopo che il Toro era stato ucciso (per l’ennesima volta, che palle) ed era risorto (per l’ennesima volta, evvai). Mi metto dunque al lavoro e studio, studio gli Hearts.
Sullo schermo del PC compare un cuore su campo Granata. Il Granata non mi stupisce, il cuore... il cuore mi ricorda qualcosa.
Aggrotto le sopracciglia, il mononeurone si agita disperato producendo scricchiolii inquietanti e poi la ghiandola pineale fa esplodere un’immagine sulle pareti del mio cranio e alzare la pelle d’oca sulle braccia e chiudere le palpebre per vedere meglio il mio ricordo.
Mi rivedo là, là sulla strada in salita che porta al castello di Edimburgo dove lo sguardo, ad un certo punto, cade su un cuore. È un cuore inserito nella pavimentazione stradale, un cuore fatto di sampietrini di diverse tonalità cromatiche. Mi fermo a guardarlo e mi emoziona un po’ anche se non ho la minima idea di che cosa si tratti. “Chissà che cos’è”, mi chiedo e poi riprendo ad avvicinarmi al castello.

Riapro gli occhi e sorrido.
“Davideeeeeeeeee! Sai che a Edimburgo c’è lo stemma degli Hearts sulla strada del castello? Io l’ho visto tanti anni fa!”
“Che cos’è Edimburgo, mamma?”
“È una città della Scozia, ciccio.”
“E tu ci sei stata?”
“Sì, ciccio, tanti tanti tanti anni fa.”
“Possiamo andarci tutti insieme?”
“Be’... credo proprio di sì... magari aspettiamo che Giulia sia un po’ più grande, dai: è un viaggio un po’ lungo.”
“Quanto lungo? Come da Torino alla Bretagna?”
“Quasi il doppio! Ti faccio vedere sull’atlante.”
Prendiamo il librone che mi sembrava magico quando avevo l’età che ha ora mio figlio e continua ad essere il libro delle magie.
Sfogliamo le pagine insieme finché troviamo la Gran Bretagna.
“Vedi? Qui sotto c’è la Bretagna e quest’isolona dalla forma strana è la Gran Bretagna. Prima c’è l’Inghilterra e poi, salendo salendo salendo, si arriva in Scozia. Che cosa c’è scritto qui?” Indico un punto preciso in alto a destra.
“Edimburgo. Edimburgo! E tu ci sei davvero stata?!?!?”
“Sì, ciccio, te l’ho già detto, no?” Gli accarezzo la testa, sorridendo con una lacrima appesa alle ciglia.
“E ci andrò anche io! Mi porterai a vedere lo stemma degli Hearts?”
“Certo, ciccio, e vedrai tante altre cose e ti rimarrà la voglia di tornarci, sai?”



Duemilaotto.

Partiamo nel tardo pomeriggio.
Prima di salire in auto, Davide mi chiede di mandare un SMS a Maria Grazie, la sua maestra preferita, per dirle che stiamo partendo per la Scozia.
La risposta non si fa aspettare: Maria Grazia lo invita a guardare tutto e a ricordare per il futuro. Gli scrive anche di non stupirsi se lungo la strada vedrà draghi, guerrieri, fate e folletti.
Sorrido, salgo in auto: direzione Nord.
L’alba ci accoglie a Calais, il sole continua ad essere basso quando - dopo la solita breve traversata della Manica - siamo sul suolo inglese e io sono felice.
“Siamo quasi arrivati?” Chiede Davide.
“Uhm... direi di no,” gli rispondo fra i sorrisi e le risate, “ma questa notte, ciccio, dormiremo a Edimburgo, te lo prometto.”
“Wow.” Esclama con lo stesso stupore di quando avevamo sfogliato insieme l’atlante.
Attraversiamo l’Inghilterra, fermandoci di quando in quando per sgranchirci le gambe, e quando siamo in Cumbria non riesco a trattenere un singhiozzo pieno di meraviglia.
“Guardate... guardate fuori!”
Quei rilievi che non sono né montagne né colline, quel verde che va oltre le retine, quel cielo, quel cielo grigio, quel cielo grande: non finiranno mai di stupirmi.
“Siamo in Scozia, mamma?”
“Non ancora, ciccio, ma quasi.”
Il sole scende, il cielo si colora di fuoco, entriamo in Scozia, ci fermiamo per cenare, passeggiamo nel parcheggio della stazione di servizio, ci godiamo quei colori, quel vento, quelle ovvie gocce di pioggia, quell’accento caldo: sì, in Scozia i suoni sono tanto diversi.
“Che cosa facciamo? Cerchiamo un posto in cui dormire già ora?”
“No, dai, arriviamo fino a Edimburgo: troveremo qualcosa anche in piena notte... spero...”
“OK, andiamo.”
Ci rimettiamo in auto, si fa notte, i bambini dormono sui sedili, guardo l’orologio: sono le ventidue passate, ma vediamo le luci di Edimburgo sempre più vicine.
Finalmente entriamo in città e, poco prima della mezzanotte, troviamo una sistemazione.
I bambini sono storditi dal sonno, li metto a letto vestiti, li bacio sulle guance.
Davide apre per un momento l’oceano azzurro dei suoi occhi e sottovoce dice: “Dove siamo, mamma?”
“A Edimburgo, amore. Adesso dormi.”
Chiude gli occhi e sorride.

La mattina dopo inizia una girandola di stupori: la colazione scozzese - grande entusiasmo - e poi andiamo alla conquista della città.
Piano piano ci avviciniamo al centro, passo dopo passo, sotto quel cielo, quel cielo familiare, quel cielo accogliente anche se non è azzurro, e meno male che non è azzurro altrimenti mi darebbe fastidio: se amo questi luoghi è anche perché il cielo è grigio, grigio come i miei occhi, questo cielo mi appartiene ed io appartengo a lui.
“Mamma, guarda! Il castello! Andiamo!”
Acceleriamo il passo, anche se la strada in salita è davvero in salita, e ad ogni passo si manifesta la stanchezza per il chilometri fatti in auto.
“Davide, ci siamo quasi... tra poco ti faccio vedere il cuore degli Hearts sulla strada, vedrai!”
Man mano che procediamo mi ricordo, mi ricordo tutto, mi ricordo di quando avevo percorso questa strada per la prima volte sedici anni prima: tra poco saremo lì a congiungere un mio pezzo di passato remoto con il presente.
E invece no.
Proprio sopra al cuore sul selciato c’è un gazebo per la raccolte di firme per non so che cosa.
“Ma cazzo!” Esclamo indispettita: tutti quei chilometri, tutta quell’aspettativa... e tutto quello che riesco a far vedere al gagno è un gazebo bianco. Mi guarda con l’aria un po’ delusa.
“Hey, ciccio... non rimanerci male, dai... tanto torneremo a Edimburgo prima o poi, no? Intanto sai che cosa facciamo? Andiamo fino su al castello e ci facciamo fotografare con la bandiera del Toro, che cosa ne dici?”
L’entusiasmo si riaffaccia prepotente su quel faccino lentigginoso e via che si va alla conquista del castello e dell’ennesimo luogo in cui far sventolare la nostra Bandiera.
Nei giorni a seguire l’avremmo poi fatta danzare insieme con i venti delle Highlands, fino ad arrivare alle Orcadi.

“Tanto torneremo a Edimburgo prima o poi, no?” L’abbiamo sfiorata in questi anni: è sempre lì. Ci torneremo e finalmente ti farò vedere il cuore degli Hearts, ciccio, anche se ormai hai capito che l’Idea è più grande e più forte di qualunque altra cosa.



Duemilatredici.

“Non posso vedere morire la mia squadra”

“Se ognuno di noi farà la propria parte, non moriremo.”

“Amo da morire la mia squadra ed è bellissimo che così tanti tifosi facciano tutto ciò che possono. Vorrei avere abbastanza soldi per farlo anche io! Abbiamo i migliori tifosi del mondo, nessuno può dire il contrario!”

“Ho appena preso l’abbonamento, ho venduto la mia Gibson SG per farlo, in più abito a Glasgow per cui ogni partita per me è una trasferta.”

“Be’, il club deve vendere 3000 abbonamenti il più presto possibile oppure sarà la fine... per cui voi testoni che non avete ancora comprato i vostri biglietti: uscite e comprateli ora.”

Gli Hearts rischiano di scomparire: ennesimo caso di gestione finanziaria scellerata. I tifosi si stanno mobilitando per fare cassa. I giocatori non ricevono lo stipendio da mesi. La squadra parteciperà al campionato che prenderà il via all’inizio di agosto. Inizierà con una penalizzazione di quindici punti e le casse vuote. Casse vuote che si stanno un po’ riempiendo grazie ai tifosi, i Jambos.

“Le squadre che sono un’Idea rimangono, le altre no,” mi ha detto un Amico, parlando degli Hearts. Il mio Amico ha ragione, anche se... anche se il pensiero che rimanga ‘solo’ l’Idea a volte mi fa paura e mi fa male.
È un pensiero che ho vissuto, è un pensiero che conosco, è un pensiero che non voglio mai più provare, è un pensiero che non voglio mai più vivere.

Gli Hearts hanno la maglia Granata.
Gli Hearts hanno il loro simbolo inciso sulla strada che porta al castello di Edimburgo.
Gli Hearts potrebbero morire.
Gli Hearts sono tenuti in vita dai Jambos, che in questo momento mettono da parte le differenze di pensiero in nome della Maglia.
Leggo le paure dei Jambos e non riesco a trattenere le lacrime per il loro forte senso di coesione.
Leggo le paure dei Jambos e mi sento a casa in quel dolore che si schianta percussivo in mezzo al petto.
Sentirsi a casa non è sempre gioia e felicità... una casa non è casa se non contiene anche il male che l’amore, di qualunque amore si tratti, porta con sé.

“Tutti noi possiamo contribuire in qualche modo... non lasciamo morire gli Hearts. Vi amo tutti, Fratelli e Sorelle.”

“Sono orgoglioso di tifare Hearts da quasi mezzo secolo e sono devastato per quello che sta succedendo... Farò tutto ciò che posso per aiutare la squadra e continuerò a tifare Hearts in qualsiasi serie giochi e imploro gli altri tifosi di fare altrettanto. Stiamo affrontando un momento orribile nella storia della squadra, ma dobbiamo unirci per superare questa sfida e dare forma a ciò che sarà. Ci rialzeremo, ci scuoteremo la polvere di dosso e faremo tornare la nostra squadra dove le compete.”

“Noi siamo più di una squadra, noi siamo una comunità, noi siamo una famiglia, noi combattiamo insieme.”

“Lo so, è una sciocchezza, ma pensate a come sarebbe bello arrivare secondi nel prossimo campionato... sarebbe come arrivare primi!”

Sarebbe come arrivare primi, sì.
Mai smettere di sognare, mai.
Lo faccio per il Toro da una vita e ora anche per gli Hearts.
E quando torneremo a Edimburgo, gazebo o meno, ti farò vedere quel cuore, Davide, anche se lo conosci già.




Questa settimana tocca a “Heartbreaker” (Led Zeppelin II, primo brano della seconda facciata, 1969).



Dedico “Heartbreaker” alle mie sorelle e ai miei fratelli scozzesi e al colore che abbiamo in comune.



Per chi conoscesse la lingua inglese ed avesse voglia di seguire le vicende dei Granata scozzesi:
Da questi due gruppi di Facebook ho preso i virgolettati riportati sopra.