mercoledì 17 aprile 2013

Tieni il cuore occupato!

Vuoto e spazio


“Tieni il cuore occupato! Tieni il cuore occupato!”

Il giorno prima siamo fermi al semaforo e parlottiamo della partita del giorno dopo.
Improvvisamente si inserisce nella nostra discussione.
All’inizio è solo una vocina dolce, poi diventa occhi chiari e grandi e nasino svirgolato: “Ahia”, penso, “si è indispettita...”
Fa una domanda, una domanda semplice: “Perché io non vengo alla partita con voi?”
Davide ed io ci guardiamo, alzando un po’ le spalle.
“Già... perché non vieni alla partita con noi? Anzi: vuoi che prendiamo il biglietto anche per te?” Le dico.
“Sìììììììììììììììììììììì!” Risponde tutta gioiosa.
Vabbe’, facciamo ‘sto sforzo... certo che quindici euro per il biglietto di una gagna di otto anni sono tanti... facciamo ‘sto sforzo: ho bisogno di tenere il cuore occupato.

Nel pomeriggio Davide ed io andiamo a ritirare i nostri biglietti e prendiamo anche quello per Giulia.
Mentre siamo sul bus parliamo del derby. Un po’ ci divertiamo e un po’... e un po’ gli dico: “Molliamola lì, ciccio: stiamo pensando già troppo in là. Prima c’è la Roma. Poi c’è la Fiorentina. Non sono due passeggiate.”
“Hai ragione, ma’... però sei tu quella che dice sempre di tenere il cuore occupato e il mio cuore è occupato dal derby...”
“Mannaggia a me, alle mie leggi personali, a te, al fatto che stai sempre attento a quello che dico...” Gli prendo il volto lentigginoso fra le mani e lo guardo dritto nelle pupille: ci rivedo un po’ di me... la parte migliore di me. Speriamo che la parte peggiore di me gli sia sempre sconosciuta.

La domenica mattina scorre lenta. Troppo.
Mi sono svegliata presto, più presto delle stramaledette 06:05 che la settimana lavorativa prevede. Mi attacco al PC sperando di ricevere la visita delle Muse ma è tabula rasa. Prendo la chitarra in mano, chiudo tutte le porte e suono piano piano piano. Devo tenere il cuore occupato.
Ho il cuore grande e in tumulto: la chitarra non basta. Non basta la chitarra suonata così piano. Faccio finta che il plettro non esista e continuo ad accarezzare le corde. No, così non va: non c’è sudisfa. Rimetto a posto la chitarra. Guardo fuori dalla finestra: potrei andare a scattare qualche foto... no, l’ora bella del giorno se n’è già andata, i colori dell’alba inglobati dal celeste che poi diventerà azzurro.

Si apre la porta: eccolo lì. Sbuca il muso spiegazzato di Davide. Baci e abbracci. “Hai dormito bene? Hai fatto dei sogni? Vuoi la colazione? Ssssssh, non fare troppo rumore: tua sorella e papo stanno ancora dormendo.” Ritorna in camera sua camminando in punta di piedi.
Le ore si susseguono come le perle di un rosario.
Si avvicina il mezzogiorno: “Ragazzi! Andate a vestirvi: andiamo allo stadio.” Urla la Madre ricciocapelluta.
Il caos più totale si impossessa della casa per una buona mezz’ora e poi, finalmente, siamo in direzione della fermata del bus.

Giocano e parlottano fra loro, ancora non mi sembra vero di averli fatti io, non mi ci abituerò mai... il giorno in cui dovessi abituarmi ai miei figli, sarebbe il giorno in cui perderei la dignità di madre, credo.

Finalmente stadio.
Che caldo.
Giocano a pallone.
Arriva anche Samu: giocano insieme.
Tranquilli. Sereni. Le magliette Granata li rendono così uguali e così diversi dagli altri bimbi lì convenuti.
Dopo un po’ li chiamo a raccolta: “Ragazzi! È ora di entrare: muoversi!”
Mi vengono incontro. Giulia ha raccolto un ramo piuttosto voluminoso: “Posso portarlo dentro allo stadio?”
“Ma anche no, darling!”
“Uffff... che peccato...”
Sulla via per i tornelli parliamo di rami e mazze ferrate, senza accorgercene siamo dentro, prendiamo posto, ci guardiamo intorno.
Scatto foto, guardo i volti della gente, osservo il campo, nutro speranze.

Alla fine della partita non so che cosa dire.
Mi affido ad un: “Andiamo, Ragazzi, state vicini a mamma. Se vi perdete ci si ritrova...”
“... sotto la Torre Maratona! Lo sappiamo!”
Sento un moto di ribellione dentro, sento che vorrei essere io quella che si perde e viene recuperata da adulti amorevoli sotto la Torre Maratona, sento che il tempo sta andando troppo veloce, sento di avere paura, sento di aver sbagliato qualcosa... ma che cosa? Non lo so.
Provo disagio e provo disagio nel provare disagio nella mia tristezza di essere del Toro.
Arrivano notizie inquietanti: lame, ferimenti, assurdità.
“Ragazzi, giocate ancora un po’ col pallone ma non allontanatevi, OK?”
Giocano.
Io cerco di capire un monte di cose: il Toro, le lame, la tristezza, il caldo... e poi riprendo la via verso casa.

Prendiamo il bus al volo, ci sediamo.
“Avete molti compiti da fare, ragazzi?”
Rispondono quasi in coro: “E tuuuuuuuuuu?”
“Io... io devo ancora imparare a vivere, credo...” rispondo loro. “... e poi... e poi ho un po’ di magone: scusatemi se il Toro ha perso, scusatemi se vi ho coinvolti in questa roba bella che è il Toro... questa roba bella che è il Toro e che quando è brutta... quando è brutta svuota il cuore, non so se mi spiego...”
Mi guardano. Si guardano. Davide prende la parola: “Tieni il cuore occupato, mamma.”
“Eh?”
“Ti ricordi di quando ero piccolo e non volevo imparare a pattinare? Mi avevi detto di tenere il cuore occupato dal pensiero che poi mi sarei divertito... ed è andata così.”
“Ma io so già pattinare, ciccio...”
“Mamma... non cambiare discorso [sorride, quasi adulto all’improvviso]... dai, quando arriviamo a casa potresti suonare un po’ la chitarra mentre noi facciamo i compiti...”
“E posso anche prendere un pezzo di cioccolato?”
“Sì, mamma...”
“E possiamo vincere il derby, eh? Dai, possiamo?”
“Sì, mamma...”
“E poi andiamo di nuovo alle Shetland, anzi no, alle Ebridi, anzi no... andiamo a Londra? Dai, andiamo a Londra?”
Durante il nostro scambio di ruoli lui ride e l’altra, sua sorella, mia figlia, ci guarda un po’ divertita e un po’ interdetta.
“Tutto OK, Giulietta?”
“Sì, ma non ho capito bene che cosa voglia dire ‘Tieni il cuore occupato’...”
“Vuol dire che nulla e nessuno possono portarti via la felicità e la curiosità. Vuol dire che quando la tristezza è troppo dolorosa, scava e scava... no, aspetta, sto facendo un discorso troppo difficile... proviamo così... ti ricordi quando ti ho detto che il Toro non c’era più? Tu non avevi ancora compiuto un anno.”
“Sì, me lo ricordo.”
“Bene. Avevo provato un grande vuoto. GRANDE. E allora sai che cosa ho fatto?”
“Hai guardato le stelle.”
Sospiro sorridendo: ricorda sempre tutto. Anche le emozioni altrui.
“Sì, ho guardato le stelle. Ho provato a riempire il vuoto che sentivo, insomma.”
“E ti sei sentita meglio?”
“No, affatto... ma ho potuto prendere atto di quanto spazio ci fosse ancora a disposizione dentro di me. Spazio da riempire con nuove emozioni, belle e/o brutte. Spazio da riempire con altro vuoto. Una volta ho sognato che il mio cuore era una piazza percorsa da una miriade di persone. Ogni persona rappresentava un momento della mia storia personale. Scoppiava un temporale e tutte le persone andavano a rifugiarsi sotto i portici. Entravo in campo anche io...”
“Tu fai sempre sogni strani!”
“Certo, cara! Entravo in campo anche io, ti dicevo, e andavo di corsa in mezzo alla piazza. ‘Dove scappate? È solo pioggia: mica siete fatti di zucchero... Non lasciatemi... non lasciatemi SOLA.’ Gridavo. Rimanevano sotto ai portici, ‘sti scioperati...”
“Che cosa vuol dire ‘scioperati’?”
“Te lo spiego un’altra volta. Nel mio sogno decidevo, allora, di combattere la paura di rimanere sola mettendomi a danzare sotto la pioggia. E sai che cosa succedeva? Succedeva che, ad una ad una, le persone uscivano dai portici e si mettevano a danzare con me. E sai perché?”
“Eeeeeh... no, perché?”
“Perché facevano parte di me, ERANO me ed io, evidentemente, cerco di essere integra anche nei sogni.”
“Aaaaaaaaaah... non ho capito ma mi sembra una cosa bella!”
“Tesoro... quello che voglio dirti è che se permetti al tuo cuore di rimanere occupato, la tristezza si supera e crei nuovo spazio e quindi...”
“Tieni il cuore occupato! Tieni il cuore occupato! Prima di fare i compiti mi fai sentire ‘Black Dog’?”
“Sì, Giulia, sì...”


Questa settimana tocca a “Black Dog” (Led Zeppelin IV, brano di apertura di quello che è un album fondamentale). Secondo i Celti, più specificamente i Bretoni, il Cane Nero rappresenta le anime dei dannati che, durante la notte, ululano per la terra e lungo il mare.





Dedico “Black Dog” a chi sceglie di non venire più allo stadio, dedico “Black Dog” a chi sceglie di continuare a venire allo stadio, dedico “Black Dog” a chi - come me - parla di ‘venire allo stadio’ e non di ‘andare allo stadio’.... in fondo sono sempre lì. Ad aspettare. E anche ad ululare nella mia terra e lungo il mio mare. Che fatica. Forza Toro.