mercoledì 30 gennaio 2013

Non ci credo!

Celebration Day


Continuiamo a parlare d’amore.
C’è una frase che mi esce spontanea dalla boccuccia quando incontro qualcuno davanti allo Stadio: “Non ci credo!”
Sono le tre parole che precedono l’abbraccio che vede come protagonisti me medesima e un Fratello o una Sorella. Poco importa che io sia in un luogo specifico, ad un’ora specifica (e concordata), in attesa di una persona specifica. Quando il detentore delle specifiche si palesa, io dico così: “Non ci credo!”
Non v’è nulla di scaramantico o automatico in tutto ciò... forse è solo la verbalizzazione di quello che si spera di vedere in campo, forse è un legame quasi parentale con lo stupore - che si rinnova OGNI santa volta - che sgorga prepotente quando, salite le scale, occhieggia il campo e sì: siamo di nuovo qui, nei secoli dei secoli, amen.

Qualche partita fa, per esempio.
Ci eravamo scritti parecchio durante la settimana, Davide e io.
“Vieni alla partita, caro?”
“Sì, ci vediamo là un’ora prima, cara?”
“OK, perfetto. SFT”
“FTSFT”
Arrivo lì molto prima del previsto per rosicchiare un panino stando in perfetta solitudine su una panchina e ascoltando un po’ di musica, muovendo le mandibole a ritmo per cercare di non perdere neppure un suono del mio esclusivo mondo felice: quello in cui gli occhi guardano quello che l’universo propone e le orecchie ascoltano quello che io scelgo di ascoltare.
Mi si parano davanti tre tomi. Anzi: un tomo e due tome (no, i formaggi non c’entrano). Mi si parano davanti e mi parlano. Con un gesto inequivocabile indico le cuffiette nelle orecchie. Con un gesto inequivocabile il tomo mi prega di toglierle per ascoltarlo.
“Mi*chia santa, evitare di rompere le palle no, eh?” Penso.
“Sì?” Dico.
“Possiamo lasciarle un volantino?” Dice il tomo con un sorriso che mi disturba ancora più del tono mellifluo della sua voce.
“Per un’automobilina?” Rispondo cercando - senza riuscirvi (eppure a me veniva da ridere, vabbe’...) - di essere spiritosa.
“Eh?” Replica il tomo, a cui compare un punto interrogativo sul crapone.
“Ciuppa. No, grazie, sono pagana.” Dico con inaspettata dolcezza, una dolcezza che colpisce nel profondo pure me, la Signora Acidità.
“Uh, davvero?” Insiste il tomo.
“Ciao.” Risponde la Signora Acidità, reimpossessatasi di se stessa.
Cuffiette nelle orecchie.
Pace.

Finisco panino e birra, mi avvio verso il luogo dell’incontro.
Dopo un po’ arriva Davide.
“Ciao!” Mi dice sorridendo.
“Siamo proprio tutti uguali,” penso, “quando arriviamo allo stadio abbiamo ‘sta faccia da bimbi in gita scolastica... che spettacolo!”
“Non ci credo!” Gli dico allargando le braccia per dargli il benvenuto, per ricevere il mio benvenuta.
Qualche chiacchiera e poi via verso il campo.
Lungo il percorso cambiamo allenatore otto volte, facciamo dodici formazioni diverse, ci tuffiamo quattro volte nel passato... e siamo già oltre i tornelli.
“Ehm, Davide... io salgo sempre da questa parte...”
“Anche io, Silvia... mi ricordo che una volta ero salito da un’altra parte ed era finita in tragggedia...”
“Bene: le cattive abitudini vanno evitate...” Per scaramanzia, evitiamo accuratamente di pronunciare e perfino di pensare alla parola scaramanzia.
E poi saliamo le scale.
Vedo - sì: lo vedo - il fumetto che si materializza sulle nostre teste: “Stairway to Heaven o Highway to Hell?”, ma infine è il verde e il Granata e le facce, tutte uguali e tutte diverse, e il freddo pungente, eppure viene voglia di togliersi il giaccone e di correre.

“Ma dove stai correndo, deficiente?” Tuona verso di me una voce possente e per nulla inaspettata.
E ti pareva... mi perseguita. Non bastano le telefonate quotidiane, gli incontri-scontri in redazione... no, deve rompermi le scatole anche allo stadio.
“Oh, Sagliets. ‘zzo vuoi? Non dovevi andare al secondo anello?”
“Io di anelli ne ho tre, per domarli, per trovarli, per ghermirli e nel buio incatenarli, pereppeppé.”
“Vecchio trombone... un po’ di rispetto!”
“Per renderti omaggio sono venuto al tuo cospetto.”
“Seeee... omaggio, ogiugno e pure oluglio. Che cosa vuoi?”
“Ellapeppa, acidona: sono venuto a salutarti, come faccio sempre prima di ogni partita, no?”
“Ah, OK: ciao. Introdurre variazioni sul tema è troppo difficile, eh? Come sei noioso...”
“Teppista!”
“Anche io ti voglio bene, Brontolo!”
“Ci vediamo nell’intervallo?”
“Sì.”
“Ciau.”
“Forza Toro.”
“Sì.”
“Ciau.”
“Forza Toro.”
“Sì.”
“Ciau.”
“Ebbbbbasta, mo’!”
Mestamente sale gli scalini e un po’ mi commuovo: penso a quando quegli scalini percorrevamo di corsa e i polmoni se ne fottevano, penso a quando quegli scalini non riusciremo più a frequentare e ci faremo ciaociao a distanza e saremo ancora lì, pirla infiniti, a fremere per ogni sobbalzo di cuore.

Sobbalza il cuore quando i Ragazzi entrano in campo.
Dentro di me dico: “Non ci credo!” Forse lo dico anche con la voce.
Davide ed io non riusciamo a staccare gli occhi dal campo.
Anche quando ci guardiamo sorridendo, non riusciamo a staccare gli occhi dal campo.
È come una preghiera, è come star assistendo ad un’unica partita che ha avuto inizio dal momento in cui abbiamo scoperto il gioco del calcio, dal momento in cui ci siamo riconosciuti Granata e da allora niente è più stato lo stesso, al punto tale da aver dimenticato per sempre il prima, se un prima c’è mai stato.
Un’unica partita.
Avrà fine quando finiremo noi.
Anzi, no: continuerà.
Nella stessa maniera beffarda in cui chi muore giace e chi vive si dà pace.

Passano i giorni e arriva.
Inter-Torino.
No, un momento: Inter-TORO.

“Non ci credo!” Ho esclamato al primo gol di Meggiorini.
“Noooooon ciiiiiiiiiiiii creeeeeeeeeeeeeeedoooooooooo!” Ho gridato come un’ossessa al secondo gol di Meggiorini.
Che poi... che poi erano i gol del Toro, i gol del Toro Fenice che risorge dalle sue ceneri e ripresenta barlumi di quel Toro che è... il Toro.
C’era gente che piangeva, c’era gente che ballava la samba, c’era gente che diceva “Non ci credo!”, c’era gente che diceva: “È il Toro. Punto.”
Bel godere, adesso vediamo come va.
È il Toro. Punto.
Sì.


Questa settimana tocca a “Celebration Day” dei Led Zeppelin (“Led Zeppelin III”, 1970). Devo spiegare perché?





Dedico “Celebration Day” agli Accontentisti (grazie, Sagliets, per avermi concesso l’utilizzo di codesto neologismo), ai Tremendisti, ai Superghisti, ai Granatici granitici, a mia mamma e mio papà, a Stanislao Moulinsky, a chi sa fare il mea culpa, a chi si incazza, a chi scende dal biiiiiiip e va a piedi, al tricheco dei Beatles, al theremin di Jimmy Page, a ciò che è e a ciò che non dovrebbe mai essere (cit.), a Flavia, a chi si toglie dalle palle, al Toro. Al mio Toro. Mio mio mio. NOSTRO.




mercoledì 23 gennaio 2013

Alcuni sanno fare ritorno


Qualcosa deve cambiare


Per la gioia dei colleghi, strane urla si levano per i corridoi della labirintica redazione di [testata su cui scrivevo].
“Sagliets? Saglieeetsss??? Ou!!!”
“Che c’èèèè???”
“Ne ho una da 37 minuti e 38 secondi.”
“Eh?”
“Smettila di farmi ‘sti assist, tonto... ciuppa, tra l’altro. 37 minuti e 38 secondi. Ti rendi conto?”
“Uno più uno fa due, due più due fa quattro...”
“... e quattro più ottordici fa polentadue. Allora?”
BRAAAAANG.
“Oh, scusami, Elicottera... qualcuno mi chiama in chat...”
LaSilvia scrive - 37 minuti e 38 secondi!!! Aaaaaaaaaaaaaaaaaah!!!
Sagliets scrive - Ma sarai ben scema...
LaSilvia - Sì! ^_^
DA-DANG-DA-DA-DANG.
LaSilvia scrive - Perché mi chiami al telefono? Tanto non ti rispondo.
Si spalanca la porta: Sagliets.
“37 minuti e 38 secondi che cosa, oscura e rompiballissima creatura?”
“Ancora tu, non mi sorprende, lo sai.”
“You need coolin’, baby...”
“Proprio di questo volevo parlarti: 37 minuti e 38 secondi...”
“... che ti rimangono di vita se non la smetti...”
“Sì, certo. Brr brr, che paura. No, dunque, allora... uh... non posso dirtelo. Torna nel tuo cubicolo. Non posso metterti a parte di certi misteri: non sei ancora pronto.”
“Rompiballe di una rompiballe che non sei altro.”
“Yesssssssssss. Sciò. Vattene. Vattenissimo.”
Sagliets torna nel suo ufficio, sento che borbotta qualcosa al mio indirizzo (“Ma perché proprio a me, Dei degli Inferi?” e roba del genere)... uh, ma quanto è nervoso il giovanotto.
BRAAAANG.
LaSilvia scrive - Hai nominato gli Dei degli Inferi?
Sagliets scrive - Sì, santa donna, sì.
LaSilvia scrive - OK, quando arrivano mandali qui: il tea è pronto.
Sagliets scrive - Smettila!
LaSilvia scrive - No. Li sto aspettando per fargli sentire “Whole Lotta Love”.
Sagliets scrive - Tu sei fuori...
La Silvia scrive - Un po’... è la registrazione (fraudolenta, non dirlo a Pagey, ti prego) di “Whole Lotta Love”, Budokan, Tokyo, 23 settembre 1971... tanta roba.
Sagliets scrive - Quanta?
La Silvia scrive - 37 minuti e 38 secondi.
Sento correre qualcuno nel corridoio
GRIIIIIINCH: la porta del mio ufficio cigola e SBADAMMM! va a sbattere con violenza contro il muro.
I miei ninnoli e le mie ciarabattole tintinnano, i ciapapuer prendono polvere senza fare un plissé.
“Sagliets! Ti pare il caso?” Gli dico con disprezzo. Lo stesso disprezzo con cui lo guarda la combriccola che si è appena materializzata intorno al tavolino a tre gambe: Aleister Crowley, Lucifero e Belfagor.
“Aaaaaaaaaaaah! Pape, Satan, Aleppe!” Urla Sagliets.
“Sssssssssssh! Smettila!” Gli rispondo increspando la criniera.
“Ma... ma... ma...”
“Mama mia, let me go... Amici cari, vi presento il mio amico Sagliets: è nu bravo guaglione, ma si lascia facilmente travolgere dalle emozioni...”
A volte è difficile scrivere, parlare, pensare di Toro.
Non capita solo a me.
Purtroppo.
Mi scrive Beppe: “Mi è successa una cosa strana... da quando abbiamo in squadra  il "blocco- Bari-delle-scommesse" non ho più nessuno stimolo a seguire il Toro... sì, magari leggo se abbiamo preso Tizio o Caio... però la domenica vedo la partita pensando: "Ma se se la sono venduta due anni fa, perché non potrebbero rifarlo??"... tristemente sto pensando di staccare...”
Cioè ormai mi pare tutta una presa in giro... è strana come sensazione. Sai quel coro che dice "sembra impossibile che segua ancora te"? Ecco, ora tutto mi pare assurdo... per anni abbiamo preso in giro i gobbi per la musica del prepartita, per le musichette ai gol e per essere belli allineati. Ora mi sembra di vedere quelle cose da noi... sarò io che cambio, ma da quando seguo il Toro (OK,  dal ‘97 e non dal ‘70) mai mi sono sentito così fuori posto. Ovvio: gli amici ci sono e ci saranno sempre... ma, a parte loro, mi sento spaesato... poi magari passerà, eh? La ‘cosa’ Toro/Bari mi ha dato il colpo di grazia. Peccato...
Ma io spero che torni a galla e sono sicuro che lo farà, ma qualcosa deve cambiare. In Maratona ci si picchia, ci si insulta. Mi ricordo di quando mio padre mi portò per la prima volta in Maratona: era il derby del 3 a 3. Una signora nell'intervallo si avvicinò a noi e gli disse una cosa tipo: "Mica vuole piangere davanti a suo figlio?!? Guarda l'altra curva... sono brutti e si fanno anche male tra di loro. Noi siamo una famiglia... da noi si vince sempre... e ora venite su: due in più sono sempre benvenuti!" Ma come diavolo è possibile... ora nulla è più così... ma appunto, prima o dopo tornerà... è come quando ti lascia la prima ragazza... uguale...”
[N.B. Beppe è nato nel 1991, quando l'ultimo Scudetto stava diventando adolescente.]
A volte è difficile scrivere, parlare, pensare di Toro.
Eppure basta poco perché gli argini si rompano ed esondi tutto questo... amore?
Domenica pomeriggio, mentre improvvisavo danze celebrative per i due gol contro il Pescara, non potevo fare a meno di notare che non ero completamente felice... anzi: non ero spensieratamente felice.
Pensavo già alla prossima partita e anche a quella dopo.
Non ero totalmente nel momento che stavo vivendo.
Non va bene.
L’amore dev’essere spensierato, deve nutrire e non consumare, deve saziare e non creare vuoti.
Forse sono diventata una vecchia brontolona.
A dire il vero brontolona la sono sempre stata... vecchia, ahimè, la sto diventando.
Una vecchia brontolona che non è mai contenta (quando si tratta del Toro).
Una vecchia brontolona che finisce sempre a dire: “OK, diamogli un’altra possibilità...”
Una vecchia brontolona che non ha ancora deciso che cosa farà da grande, ma che sa che questa malattia - caro Beppe, prendi nota - è la cura per chi sa di essere diverso, per chi sa di essere nato nel luogo sbagliato, per chi sa guardare oltre, per chi sa fare ritorno.
“... ritorniamo ai nostri discorsi, dunque. Sagliets, puoi restare se vuoi: gradisci una tazza di Earl Grey?”
Sagliets è terreo. “Ma... ma loro...”
“Loro sono già stati serviti, non vedi?”
“No... dico... loro sono... lui. Lui è Crowley, vero? È un satanista, lo sai? E poi... Lucifero... Belfagor... a proposito che cosa c’entra Belfagor?”
“Boh, ha detto che voleva convincerti a parlare del Louvre in una tua Polaroid, ma che quando si era deciso a farlo ti ha trovato accartocciato su una chitarra elettrica e un archetto da violino e gli son tremate le ginocchia... in ogni caso Crowley non è un satanista e Lucifero ha perso le ali: vuoi ritrovargliele tu? Sai com’è... qui c’è spazio per tutti: buoni, cattivi, circamenoquasi... e qui non si giudica nessuno... ci si siede intorno al tavolo e si prende un tea caldo insieme... vuoi accomodarti o no, dunque?”
“Sì, dai... mi siedo con voi... però poi torno al secondo anello, va bene?”
“Fra un po’, Sagliets, fra un po’...”
Lo guardo sorridendo, mi fa tenerezza: quando si arrabbia si arrabbia duro duro duro, ma non gli manca mai la voglia di rimettersi in discussione (e qualora gli venisse a mancare gliela farei tornare io con due sberle... il caso non si è ancora presentato).
“Scusa, tenebrosa creatura... non avevi detto che volevi farci sentire qualcosa?”
“Sì, certo. Ci pensi tu? Premi quel tasto e ascolta ad occhi chiusi: 37 minuti e 38 secondi passano in un attimo... siete d’accordo anche voi, cari amici?”
Crowley, Lucifero e Belfagor annuiscono, quasi sollevati dal non essere guardati con terrore.
“Whole Lotta Love” si spande nel mio ufficio-sancta sanctorum.
37 minuti e 38 secondi dopo apriamo gli occhi: siamo rimasti solo io ed il mio stimato collega.
“Perché il Toro non può tornare ad essere così, Elicottera?”
“Perché... non lo so. Eppure siamo sempre là, eh?”
“Non riesco a dirgli di no.”
“Io non voglio dirgli di no.”
“Torno nel mio ufficio: ti ringrazio...”
“Grazie a te. Ora togliti dai piedi.”
“Sei sempre la solita, cavolacci!”
Se ne va sbattendo la porta.
Io faccio spallucce.
Apro il volume di Magia Nera che mi è stato donato per lo scorso Solstizio, lo sfoglio distrattamente: sto ancora pensando alle prossime partite e a tutte quelle che mi sono lasciata alle spalle.
Mi domando se davvero me le sono lasciate alle spalle o se, piuttosto, siano divenute le mie ali spezzate, se me le stia portando SULLE spalle, evitando accuratamente di liberarmene.
“Soffrire eternamente pare essere così chic... oppure è un cliché?” Penso e sospiro.
BLIMP.
“Ecchiccazzé ora?”
Sagliets scrive - Ho trovato un biglietto sulla mia scrivania...
La Silvia scrive - Uno solo?
Sagliets scrive - C’è scritta una cosa che vorrei capire meglio: “Sta a te scegliere se il Toro sia un inverno o l’Inferno, sta a te scegliere, sempre.” Secondo te che cosa vuol dire?
La Silvia scrive - Secondo te che cosa vuol dire: “E lo chiedi a me?”
Sagliets scrive - Piccolo terrore che non sei altro... guarda che riconosco la tua calligrafia...
La Silvia scrive - Oh... ah... bofffff... be’... boh.
Sagliets scrive - Eh?
La Silvia scrive - Ciup... no, dai: ascoltami... forse dovremmo prendercela di meno. Per il Toro, intendo dire...
Sagliets scrive - Ma come, zio cane? Come?
La Silvia scrive - Scegliendo di stare per un po’ al freddo e poi di accogliere il tepore di stagioni diverse dall’inverno, piuttosto che incenerirci in continuazione all’Inferno, per esempio...
Sagliets scrive - Non è un po’ troppo lungo questo inverno?
La Silvia scrive - Forse sì, ma tutto sommato... tutto sommato lo viviamo con disinvoltura, dai... sentiamo il freddo e quindi significa che all’Inferno non ci siamo ancora.
Sagliets scrive - Hai di nuovo messo su quella canzone?
La Silvia scrive - Sì.
Sagliets scrive - Perché?
La Silvia scrive - Perché io non ho parole, oggi non ne ho, per dire il mio amore per il Toro...
Sagliets scrive - Io credo che tu ti stia sbagliando...
La Silvia scrive - E lo sbagliare m’è dolce in questo caso...
Sagliets scrive - Forza Toro, Elicottera :-)
La Silvia scrive - Sempre, tonto, sempre :-)
Questa settimana tocca a “Hamsterheid” dei Clanadonia (“Clanadonia - Keep It Tribal”, 2007): cornamuse, tamburi, ritmo. I veri uomini indossano il kilt, dicono in Scozia... 

Dedico “Hamsterheid” alla parte guerriera della nostra anima.




mercoledì 16 gennaio 2013

Io vi accuso

The End


Fermo restando che mai nulla priverà il mio cuore di tutto ciò che il Toro o, più precisamente, l’IDEA del Toro ha regalato ad una vita che, altrimenti, sarebbe stata altrettanto bella, ma sicuramente più povera.


Fermo restando che l’IDEA cresce e cresce e cresce (sempre più spesso accompagnata dalla rabbia).

Fermo restando che del Toro sono e del Toro rimango.

Fermo restando un monte di belle parole... io vi accuso.

Io vi accuso di aver tentato e di continuare a tentare di distruggere un’IDEA.

Bravi furbi: andate ad acchiappare ratti, va’.

Porto a testimoniare Ornella.
“Ho 65 anni, tifo Toro da quando ero bambina, anche mio marito è del Toro anche se... anche se ormai è più contento quando perdono i gobbi che quando vince il Toro: entrambi gli eventi si verificano troppo sporadicamente. Mai più avremmo immaginato di arrivare a questo punto.”

Porto a testimoniare Giulia, mia figlia, 8 anni.
“Quando posso tornare allo stadio?”

Porto a testimoniare Davide, mio figlio, 13 anni.
“Mamma, raccontami ancora una volta di quando il Toro era il Toro.”

Porto a testimoniare Franco.
“Ho 76 anni, tifare Toro è stata la mia costante nella vita, oltre al caratterino e all’onestà. Prima di morire vorrei vedere un altro Scudetto, ma non succederà. Preferirei veder sparire il Toro improvvisamente piuttosto che continuare ad assistere a questo scempio che lentamente sbiadisce il significato del mio tifo. Ho già perso il Toro una volta, quando ero bambino, ma non era colpa di nessuno: la Natura a volte è tragica.”

Porto a testimoniare Sergio.
“Ho 35 anni, come potrei fare il tifo per un’altra squadra?”

Porto a testimoniare la Stefi.
“Ho 47 anni, tifo Toro e ho le gonadi sul punto di esplodere. Mi hanno rubato la voglia di chiederti: “Novitàààà?” nell’incipit della telefonata quotidiana. Mi hanno fatto venire paura delle risposte che potresti darmi. Forse era meglio quando c’erano solo domande.”

Porto a testimoniare Andrea, 8 anni.
“Io oggi metto la maglietta del Toro, non mi importa se avrò freddo.”

Porto a testimoniare Flavia.
“Ho poco più di 40 anni e del calcio nulla so. Ti leggo e mi rimane qualcosa dentro. Mi viene ormai spontaneo informarmi sui risultati del Toro e pensare a come ti sentirai.”

Porto a testimoniare Mauro.
“Ho 45 anni e non ne posso più. Ci vediamo allo stadio domenica?”

Porto a testimoniare me stessa.
Che cosa è il Toro ormai?
Per quelli che lo guardano da fuori: un simulacro.
Per quelli che ci vivono dentro (esclusi quelli che, nel corso dei decenni, l’hanno stuprato: il mio J’ACCUSE è per tutti voi): brodo primordiale.
Per quelli a cui è rivolto il mio J’ACCUSE: ne valeva davvero la pena? Valeva davvero la pena ammazzare un bacino di emozioni così grande? Siete sicuri di aver portato a termine il vostro assassinio? Rido. Rido di gusto. La logica del denaro? Ah, già... quella che “No, il Comunale non si chiamerà Grande Torino, bensì Oreficeria La Carota: che sponsor! Applaudite tutti!”
In ogni caso... ci penseremo NOI a chiamarlo con il suo vero nome: siamo IDEAlisti.
Che marea di pirla, vero?
No.
Provateci voi.
Provateci voi a chiamare la Mafia con il suo vero nome.
Difficile, eh?

Io vi accuso.
E un po’ vi ringrazio: se non ci foste voi, non avrei provato così tanto gusto a rimanere quella che sono.
Con i miei difetti, con i miei compromessi, con la mia voglia di rinunciare, con la mia voglia di fuggire, con le mie contraddizioni.
Parte tutto dal cuore, “cari” voi, tutto dal cuore.
“Ma col cuore non si mangia!” direte voi.
Non sapete ancora nulla della vita.
Io non ho niente da insegnare a nessuno, sia chiaro... so per certo che senza sogni non si va da nessuna parte.

Io vi accuso.
Vi accuso di aver lasciato solo Davide prima della partita contro il Siena.
Siamo entrati insieme e poi l’ho visto partire, lento e determinato, andare verso il campo, rimanere a guardarlo.
Davide, Amico mio... no, non mi si è stretto il cuore: ho provato un orgoglio infinito vedendoti lì solo.
Perché NON eri solo.
Eri con Ornella, con i miei figli, con Franco, Sergio, la Stefi, Andrea, Flavia, Mauro, me.

Io vi accuso di non capire e non per vostra possibile imbecillità.
Io vi accuso... io non sono nessuno.
Forse.

Ci sono leggi universali a cui non si può sfuggire.
La forza di gravità.
La matematica.
La poesia.
Il Toro.

Vi fa ridere? Bene: mi fa piacere fare la pagliaccia.

“E alla fine l’amore che ricevi è uguale all’amore che hai dato.”
Anche questa è una legge universale.
E vale anche per la me*da, sia essa tangibile oppure concettuale.
Tante belle cose e forza Toro.




Questa settimana tocca a “The End” dei Beatles (“Abbey Road”, 1969): da lì ho tratto il mio virgolettato poco più in altro.
“E alla fine l’amore che ricevi è uguale all’amore che hai dato.”
Non ho nulla da aggiungere.





Dedico “The End” al fatto che non c’è mai fine.
Non c’è mai fine alle porcherie che abbiamo visto e continueremo a vedere.
Non c’è mai fine all’IDEA.
Non c’è mai fine all’essere così scoglionati da dire BASTA e poi arrivare là, allo Stadio Oreficeria La Carota, e sentire battere forte ‘sto cuore.
Provateci voi e poi sappiatemi dire.




mercoledì 9 gennaio 2013

Stordita e confusa

Ah, l'amore...


Quarantotto ore si erano già messe fra me e il Natale e non avevo voglia di andare in ufficio quella mattina.
Faceva freddo, era buio, i bagordi dei pranzi del 25 e del 26 stringevano il fegato in una morsa che avrebbe avuto bisogno di letto, piumone e cuffiette dell’iPod nelle orecchie.
Eppure non avevo voglia di ascoltare musica.
Non avevo voglia di camminare, di prendere la metro, di stare in mezzo alla gggente, di parlare, di cantare, di pensare.
Non avevo neppure voglia di pensare al Toro.
Soprattutto non avevo voglia di andare in ufficio.
L’unica cosa che mi faceva un po’ sorridere era che, dopo l’ufficio, avrei fatto un salto in redazione per recuperare alcuni papiri su cui stavo lavorando prima dei bagordi.
A dirla tutta... non è vero che l’idea mi facesse sorridere: non avevo voglia neppure di andare in redazione, sorridere poi... uh, che fatica.
Avrei voluto stare con i miei figli.
Meglio non pensarci.

C’era nebbia. Tanta. Mi piace la nebbia.
Quella mattina la nebbia mi sembrava inopportuna e fastidiosa, mannaggia a lei...
L'iPod scalpitava nella tasca del giaccone. “Stai buono, per oggi non ce n'è...”, pensavo totalmente priva di emozioni e per nulla disposta ad ospitarne.

Il caffè. Sì, ci voleva un buon caffè.
Meravigliosa bevanda: titilla tutti i sensi e, dopo averne bevuto, il mondo sembra migliore.
Col cavolo: il mondo era sempre nebbioso e grigio e palloso.
Via verso la metro, i miei passi rimbombavano sul marciapiede.
“Ma che catso di rumore faccio quando cammino? Sembro una papera con delle maracas al posto delle zampe...” pensavo.
Più semplicemente non sono abituata a camminare senza cuffiette nelle orecchie, preferisco lasciare il mondo FUORI.

“Che suono sgradevole... Sagliets ha ragione: dovrei limitarmi a svolazzare... da quando ho fatto insonorizzare i ricci il volo silenzioso è una splendida realtà... ”

[ndr Qui decido di passare dall'imperfetto al presente perché il 2013 è l'anno in cui farò la rivoluzione. Soprattutto dentro di me.]

Continuo a camminare accompagnata dal rumore dei miei scarponcini sull’asfalto e con l’andatura di un panzer: dolce creatura... e intanto penso, rimugino, sono in loop sul pensiero che non ho voglia di fare una beneamata cippa.
No musica, no pensare, no Toro, no tutto.
“Disciplina, ci vuole disciplina... non cedere alle tentazioni, per oggi non farlo, prova a creare il silenzio totale dentro di te...” ripeto come un mantra.
Sincronizzo il respiro sul ritmo del mio mantra e mi sembra di percepire un po’ di quiete, un po’ di pace.
Sì, sto riuscendo a fare il vuoto interiore ed è una strana beatitudine.
Protetta dalla sorta di nirvana in cui mi sono immersa, procedo verso la metro.
Un tizio davanti ad un portone, però, mi guarda con gli occhi spalancati.
“Gli faccio paura, mu-ha-ha-ha!” penso.
Sbagliato: ha visto il mio cappellino Granata.
Quando gli sono ad un tiro di schioppo, egli con voce stentorea dice: “Forza Toro!”
Non ho il tempo per pensare “Disciplina, ci vuole disciplina... non cedere alle tentazioni, per oggi non farlo, prova a creare il silenzio totale dentro di te...” che sento le mie labbra aprirsi per pronunciare un “Sempre!” altrettanto stentoreo che sbuffa come un fumetto perdendosi nella nebbia e non so se sia solo l’effetto “Siam tutti draghi” tipicamente invernale o se quello sbuffo di vapore sia un alito della mia vita che si scioglie nel mondo, una piuma di anima che va perdendosi... o quel che mi viene da definire ‘amore automatico’.
Forse non è un bene che l’amore diventi automatico.
Forse non è un bene usare gli aggettivi (a volte).
Forse non volevo pensare al Toro, ma meno male che il Fato mi ha messo sul cammino qualcuno che mi scuotesse dal torpore.
Ho sentito di nuovo scorrere la linfa della vita nelle vene ed ho tirato fuori l’iPod. “Randomizza come si deve, aggeggio” gli ho detto ed è partita, fulmine nel buio, “Heartbreaker”: amo il mio iPod... è più empatico di tanti essere umani, me compresa.
A volte ci si deve rassegnare, ove per “rassegnarsi” intendo dire “accoccolarsi mollemente negli anfratti dell’anima che più caratterizzano la propria quintessenza”.
Rassegnata, dunque, son giunta alla fine della giornata: pensando al Toro, ascoltando la musica, passando dalla redazione dove...

“Ma chi catso ha lasciato tutte le luci accese?” sbotto, chiudendo fragorosamente la pesante porta di legno. “C’è qualcuno?” chiedo ad alta voce.
Mi risponde un indecoroso stridore, un rumore che sembra provenire direttamente dal reparto di gastroenterologia dell’ospedale qui vicino, un suono come di diavoli torturati, di scoiattoli spremuti, di apocalisse vicina.
Con un non tanto vago timore vado verso la fonte di quel “suono”... proviene dall’ufficio di Sagliets.
La porta è socchiusa. Sbircio e basisco. Imbraccia una chitarra elettrica: ohibò. Ha il braccio destro proteso verso l’alto e in mano stringe... un archetto da violino.
Suda, si agita, ha i capelli scompigliati, gli occhiali appannati.
“Nooooo...” penso. “E allora che cos’è tutto ‘sto casino, Sagliets???” dico a voce alta, invece.
“Aaaaaaaaaaaaaaaah! S-ciopa, disgrasia!!! Ma ti pare il modo????” mi ruggisce addosso.
“Ma insomma! Mi hai spaventato a morte con ‘sta... musica d’avanguardia, chiamiamola così. Che cosa stai facendo, buon uomo?” gli chiedo, anche se inizio a sospettare qualcosa...
“Doveva essere una sorpresa, ma temo di non riuscire... mi sento stordito e confuso...” mormora afflitto.
“Una sorpresa? Per chi?” chiedo.
“Per te, odiosa creatura...” sibila fra i denti.
“Uh. Eh?”
“Ciuppa. Ascolta: te lo spiegherò come se tu avessi due anni.”
“Pappa, nanna!”
“Bene, vedo che ti sei predisposta mentalmente. Ascolta, piccola peste: la chitarra e l’archetto non ti dicono niente?”
“Trattandosi di te no, ma se...”
“Dai che ci arrivi... quando pubblichi la tua prossima Pagina Infinita?”
“Il nove gennaio.”
“... che è...”
“... il compleanno...”
“... di...”
“Jimmy. Pagey.”
Sto piangendo. La gola è chiusa dal magone, dal magone bello. “Maledetto, Sagliets, questa volta hai superato te stesso...” penso.
“Le creature delle tenebre come te non piangono, orsù...” dice sorridendo.
“Ma tu... ma lui... ma la chitarra... ma l’archetto... ma la mia prossima Pagina Infinita... ma il compleanno... ma il nove gennaio...” deliro.
“Sì, Silvietta, volevo prepararti il benvenuto su [testata su cui scrivevo] nel 2013... mi ha colpito il fatto che saresti tornata a scrivere la tua ‘Pagina infinita’ proprio il nove gennaio... be’, togli l’aggettivo: mi hai insegnato tu che spesso non servono... che cosa rimane?”
“Pagina.”
“Dillo in quella che sembra essere la tua vera lingua...”
“Page.”
“Vuoi aggiungere qualcosa?”
“Happy birthday, Jimmy...”
“Brava ragazza. Hai compreso il motivo di tutto quel fracasso, ora?”
“Sì.”
“Non hai nient’altro da dire?”
“Grazie, scemo.”
“Prego, cucumerla.”
Rido fra le lacrime e sono un po’ felice e così riesco a cancellare in parte dalla mente che tra poco...

… inizia il calciomercato: la stagione di maggior incazzatura per il tifoso Granata.
Vogliamo parlare d’altro? Della primavera imminente (be’, più o meno), del prossimo viaggio estivo, del futuro ed entusiasmante foliage autunnale? Oppure vogliamo pensare alla prossima partita? Contro il Chievo il Toro ha vinto, anche se l’influenza a casa mia ha fatto molti più gol... e ho questa voglia di andare a sbattere il naso contro freddo, sofferenza, abbracci, parole, quella roba lì... ma prima la partita a Catania.

La partita a Catania. Archiviare. Subito. Non ho voglia di incazzarmi, non oggi: ho cose più importanti a cui pensare. Cose più importanti del Toro? Oh, sì... tu: vedi di rimetterti in sesto rapidamente, OK? Tu che ti riconosci in queste mie parole, tu che sai chi sei: sempre. Tu sai sempre chi sei e quindi... quindi non farmi scherzi, chiaro? Tu che mi hai insegnato il Toro... be', non farmi scherzi. In questi giorni in cui sei lontano da giornali e tivvù... be', ti racconterò io che cosa succede intorno al Toro... anche se dovrò fare ampio esercizio di fantasia, visto che non succede un bel cavolo di niente...



Questa settimana tocca a “Dazed and Confused” (originariamente sul primo album dei Led Zeppelin del 1969; il video linkato sotto fa parte della performance tenuta presso la Royal Albert Hall esattamente 43 anni fa, 9 gennaio 1970): buon compleanno, Mister/Master Page.



Dedico “Dazed and Confused” a chi si sente stordito e confuso da questi anni di Toro, a chi pensa di essere candido come un agnellino e invece..., a me che ho bisogno di pensare a cose belle, a Jimmy Page che - pur avendo preso in prestito il brano da Jake Holmes - ha saputo ricrearlo e dargli nuova luce e nuova ombra cambiandone le dinamiche, al mio amico Davide che l’altra sera mi ha chiesto: “Che cosa sta succedendo al Toro?”, di nuovo a me stessa che gli ho risposto: “Sta succedendo che troppi anni di merda hanno finito per intrecciarsi (indelebilmente?) con l'idea. Sta succedendo che nonostante tutto abbiamo ancora voglia di andare a tifare per loro. Forse se TUTTI dicessimo di no qualcosa potrebbe cambiare. Ma non succederà mai. Io sono troppo hippy per rinunciare all'amore. Anche se è un amore malato. Anche se è un amore pulito. Anche se è un amore che fa male. Boh, tanto del Toro siamo e del Toro rimaniamo. E non so se sia giusto. Ma l'amore è giusto? No: è oppure non è. E quindi... e quindi. FTS”.